Io so i nome dei responsabili, e so i fatti di cui si sono macchiati. Ma non ho le prove. Però la ricostruzione della verità non è poi così difficile. E a chi compete fare questi nomi e raccontare questi fatti? A chi ha il coraggio, non è compromesso col potere e non ha niente da perdere. Perchè, come diceva Sant'Agostino: "la speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio; lo sdegno per le cose come sono, e il coraggio per cambiarle".
giovedì 29 dicembre 2011
Effetto serra, basta con le bugie
di Mark Hertsgaard
La destra americana sta lanciando una grande campagna negazionista sul riscaldamento globale prodotto dall'inquinamento. Ma qui non siamo nelle opinioni, siamo nella scienza. E questi si comportano oggi come fece la Chiesa con Galileo.
Il Partito Repubblicano americano impiegherà lo stesso tempo che ha impiegato la Chiesa Cattolica Romana ad accettare le moderne scoperte scientifiche? La Chiesa ha atteso 359 anni prima di ammettere che Galileo era nel giusto: la terra si muove attorno al sole. Ed è solo nel 1992 che il Vaticano ha revocato ufficialmente la sua condanna nei confronti di colui che Albert Einstein definì padre della scienza moderna.
Oggi persino i bambini sanno che la terra gira attorno al sole, ma la Chiesa bollò questa teoria come eretica nel XVII secolo. Galileo si rifiutò di abbandonare le sue convinzioni e l'Inquisizione lo processò nel 1633. Costretto a ritrattare di fronte alla pena di morte, egli venne comunque condannato a passare gli ultimi otto anni della sua vita agli arresti domiciliari.
La nuova maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti è ora pronta a sferrare un attacco contro i discendenti scientifici di Galileo. Rifiutare la scienza climatica ufficiale è stata un'occupazione comune per i candidati repubblicani durante le elezioni del Congresso del 2010: nessuno di loro sembrava accettare la responsabilità umana all'interno del pericoloso cambiamento climatico causato dai gas serra. I repubblicani hanno addirittura suggerito l'idea di mettere in discussione la scienza ufficiale durante le sedute congressuali di quest'anno (2011).
Dopo la riluttante ritrattazione, la leggenda vuole che Galileo abbia borbottato "Eppur si muove". In altre parole, la censura e la repressione non potevano certo cambiare l'evento fisico: la terra si muove attorno al sole - che la Chiesa concordi o meno.
La situazione attuale sembra essere simile: la scienza moderna ha dimostrato in modo definitivo che l'uomo sta surriscaldando il pianeta, che i repubblicani vogliano crederlo oppure no. Qualunque organizzazione scientifica di rilievo nel mondo (incluse l'americana National Academy of Sciences e i suoi omologhi in altri 18 paesi industrializzati) ha affermato che il cambiamento climatico prodotto dall'uomo è reale ed estremamente rischioso.
Ciò non è certo desumibile dai discorsi ufficiali, né dalle inchieste promosse da Washington. Nei 18 mesi passati i media hanno considerato i negazionisti del clima come semplici sostenitori di un'opinione differente all'interno di una questione politica molto dibattuta. Sostenitori di un'opinione che, dunque, potrebbe anche essere giusta.
Tutto questo non è che un fallimento giornalistico vergognoso, radicato nell'ignoranza scientifica e nella credulità politica. Il cambiamento climatico non si muove di certo nel territorio delle opinioni - non è una questione simile al problema del debito pubblico o alla riforma dell'immigrazione. Stiamo parlando di una realtà fisica dimostrabile, supportata dalla vasta maggioranza del mondo scientifico.
I negazionisti del clima hanno tenuto in ostaggio la politica ambientale americana (e del mondo) per vent'anni. Bloccando le riduzioni di emissioni a Washington, essi hanno fornito alla Cina e agli altri produttori di gas serra la scusa perfetta per non intervenire. Di conseguenza, hanno condannato i giovani della Generation Hot - i due miliardi di ragazzi nati in tutto il mondo da quando lo scienziato Nasa James Hansen nel 1988 ha messo in guardia sull'inizio del riscaldamento globale - a convivere con il clima più rovente della storia della civiltà.
Non ha senso tentare di modificare la mente dei negazionisti climatici: essi non riconosceranno la responsabilità umana in questo processo più di quanto il Vaticano del XVII secolo abbia ammesso che la Bibbia poteva non essere letteralmente vera. Il resto di noi, comunque, può cambiare il modo di rapportarsi a queste persone. I media e la classe politica di Washington avrebbero dovuto smettere di prenderli seriamente molto tempo fa. I negazionisti, infatti, dovrebbero essere chiamati a rispondere dei danni terribili che hanno contribuito a innescare. Dovremmo impedire loro di sabotare ulteriormente la nostra risposta collettiva alla crisi climatica. A differenza del Vaticano, non possiamo permetterci di attendere 359 anni per credere alla scienza moderna.
Il commento di un geologo:
"Mi dispiace, ma non concordo. La mia opinione è che, mentre è un dato di fatto il riscaldamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacci - peraltro confermato solo nell'emisfero boreale - non vi è ancora una prova della responsabilità dell'uomo nel provocare questo fenomeno. Io ragiono da geologo: se è successo nel passato, succederà ancora. Se nel passato della vita della Terra ci sono stati periodi molto più caldi del momento che stiamo vivendo, quando non esistevano le industrie e non si bruciavano le risorse energetiche fossili, è possibile che questi periodi climatici, definibili interglaciali caldi, possano ritornare a manifestarsi. Le cause è molto probabile risiedano nei moti millenari della Terra (precessione lunisolare, eccentricità dell'orbita, inclinazione dell'asse di rotazione). Questo non giustifica l'inquinamento da gas (non solo serra) e lo sfruttamento delle risorse: ma le cause del riscaldamento non risiedono solo nella percentuale di CO2 rapidamente aumentata".
domenica 25 dicembre 2011
Giorgio Bocca: Il Migliore !!!
Anche se oggi é Natale, non puó non venirti un groppo in gola, quando apri Twitter sull' IPhone per leggere le notizie e ti trovi davanti a questa frase: "É morto Giorgio Bocca". Subito pensi ad un bufala, poi cominci a sperare che non sia vero, poi, quando realizzi, vorresti sbattere i pugni forte contro il muro!!!! Lo consideravo il miglior giornalista d'Italia (per non dire il miglior uomo d'Italia), in assoluto, al primo posto da solo, senza dividere il merito con nessuno. Nessuno é stato mai alla Sua altezza. É una di quelle persone a cui avresti voluto stringere forte la mano per fargli sentire tutto il tuo "GRAZIE". Come per Sandro Pertini, Giovanni Paolo II, Giorgio Gaber, Fabrizio De André, Giorgio Perlasca, Enrico Berlinguer, vorresti fermare il tempo e chiedere pietosamente: "lasciacelo un altro pó, per piacere".
Come faró, da domani, a non poter piú leggere i Suoi articoli su L'Espresso, per me era diventata una stupenda routine, se sapevo che Lui aveva scritto un nuovo articolo, fermavo tutto e andavo a leggerlo tutto d'un fiato. Mi riempiva di tale soddisfazione sapere che c'era uno che la penava esattamente come te, che ti sentivi meno solo a volte, meno circondato dalla cialtroneria, dalla cattiva furbizia, dalla falsitá.
Sono contento di una cosa peró: é riuscito a vedere la caduta di Berlusconi, di quel tiranno, qualunquista, imbroglione, ladro, mafioso, mediocre, espressione di tutto quello che lui ha sempre combattuto per una vita intera. Mi immagino la Sua faccia, l'espressione di gioia per la fine di quell' esasperante periodo pieno di nervosismo. Ma non si preoccupi Signor Bocca, se Berlusconi é caduto, sappiamo bene, perché ce lo ha insegnato Lei, che i Berlusconiani e tutti quei mediocri sono ancora lí, e ci penseremo noi a continuare per far conoscere la verità ai nostri figli. Addio Signor Bocca, Le voglio bene!!!
Come faró, da domani, a non poter piú leggere i Suoi articoli su L'Espresso, per me era diventata una stupenda routine, se sapevo che Lui aveva scritto un nuovo articolo, fermavo tutto e andavo a leggerlo tutto d'un fiato. Mi riempiva di tale soddisfazione sapere che c'era uno che la penava esattamente come te, che ti sentivi meno solo a volte, meno circondato dalla cialtroneria, dalla cattiva furbizia, dalla falsitá.
Sono contento di una cosa peró: é riuscito a vedere la caduta di Berlusconi, di quel tiranno, qualunquista, imbroglione, ladro, mafioso, mediocre, espressione di tutto quello che lui ha sempre combattuto per una vita intera. Mi immagino la Sua faccia, l'espressione di gioia per la fine di quell' esasperante periodo pieno di nervosismo. Ma non si preoccupi Signor Bocca, se Berlusconi é caduto, sappiamo bene, perché ce lo ha insegnato Lei, che i Berlusconiani e tutti quei mediocri sono ancora lí, e ci penseremo noi a continuare per far conoscere la verità ai nostri figli. Addio Signor Bocca, Le voglio bene!!!
sabato 24 dicembre 2011
...E SAPPIAMO TUTTI COME FINÍ !!!
La protesta senza sponde
di Piero Ignazi
C'è una realtà in fermento, scossa da tensioni sempre più ampie e profonde che può sfociare in mobilitazione anti-establishment
La compressione del potere d'acquisto delle famiglie italiane più povere, in larga parte operaie e "precarie", sta sospingendo verso la marginalità sociale un numero crescente di persone. Per molti il futuro si presenta cupo. Questa situazione di ansia e di incertezza produce uno stato di stress favorevole al sorgere di movimenti sociali. Finora, nonostante la nostra tradizione nazionale intessuta di ribellismo, il clima sociale si mantiene abbastanza tranquillo.
Lo sguardo deve scendere dal piano nazionale a quello locale per trovare segni della (in)sofferenza sociale. Contrariamente alle notizie diffuse dai media nazionali, le cronache dei quotidiani e delle tv locali sono piene di fabbriche che chiudono, di attività autonome che falliscono, di disoccupati che crescono. Sembra di vivere in due universi paralleli, senza punti di contatto: da un lato il cloroformio dei TG nazionali, pubblici e privati, e la "distrazione" della grande stampa, dall'altro la presa diretta con una realtà in fermento, scossa da tensioni sociali sempre più ampie e profonde. Finora i sindacati hanno saputo o incanalare la protesta lungo i binari tradizionali - come ha fatto la Cgil - o addirittura convincere i lavoratori che non c'è alternativa al piegare la testa - come hanno fatto Uil e Cisl. Ma i sindacati non rappresentano tutto il mondo del lavoro e men che meno quelle componenti sociali precarie e marginali che rifuggono, per vari motivi, dall'inquadramento sindacale.
È questo il problema dei prossimi mesi. Se il calo costante dell'occupazione, il sempre più intenso sfruttamento imponendo condizioni capestro extra contratto (quelle di Pomigliano sono uno zuccherino al confronto di quanto sta avvenendo un po' dovunque...), la decurtazione dell'orario e/o della retribuzione alla luce del sole e l'esaurimento della risorse della cassa integrazione, si associano alla assoluta mancanza di tutele e di ammortizzatori sociali per i "precari" di ogni genere e tipo, si crea una situazione nuova, difficile da gestire. Nel passato, vi erano attori che sapevano incanalare la protesta, tanto sul versante sindacale quanto su quello politico. Ora la divisione del sindacato e l'inconsistenza politica del Pd lascia la protesta senza sbocchi istituzionali.
Di fronte a questo doppio stallo, prende corpo l'ipotesi di un esplodere delle tensioni sociali. E se così sarà, verrà guidata da componenti sociali diverse da quelle che hanno guidato le mobilitazioni del passato: lavoratori in via di precarizzazione e precari cronici, quadri sindacali di sigle minori e neodisoccupati. Tutti in polemica con partiti e sindacati "ufficiali" per la loro (percepita) passività.
Mentre in Germania, pur orfani del sostegno dell'Spd, i sindacati hanno avuto la capacità di negoziare con grinta e flessibilità nuove condizioni retributive e normative concedendo qui ma ottenendo là, e in Francia si sono mossi secondo la loro tradizione di lunghe e ripetute manifestazioni di massa coinvolgendo un po' tutti, in Italia la voce di coloro che stanno "pagando il prezzo della crisi" non rimbalza nel dibattito nazionale, non diventa un tema centrale. Tra sindacati fragilizzati dalle loro divisioni e dal loro corporativismo e partiti in altre faccende affaccendati, il Pd raggiunge vette sublimi di autolesionismo, quando pudicamente si astrae dai luoghi della protesta, come se il suo elettorato fosse composto principalmente da imprenditori e lavoratori autonomi.
Agendo in maniera così miope sfilaccia ulteriormente i suoi legami storici con la classe operaia e con le componenti sociali più deboli. A questo mondo "afono" di persone sempre più spaventate dal loro futuro si lasciano così due alternative: farsi sedurre da chi offre protezione sotto altre forme e in maniera subliminale - la destra forzaleghista di lotta e di governo - o da chi incita a mobilitazioni più radicali.
Non dobbiamo stupirci allora se, improvvisamente, da un momento all'altro, si diffonderà un movimento sociale di protesta incattivito e aggressivo, e poco controllabile. E, soprattutto, di tipo diverso rispetto al passato: lontano anni luce dal mito della lotta di classe e incline piuttosto alla mobilitazione populista anti-establishment in cui anche il partito egemone della sinistra viene posto sul banco degli accusati.
Commento:
La situazione mi pare perfettamente descritta. E ricorda terribilmente quegli anni '20 del secolo scorso che videro nascere i fascismi. Ne le destre ne le sinistre seppero intercettare la crisi economica ed esistenziale di enormi masse piccolo borghesi e proletarie che vedevano andare in pezzi il loro mondo. Ci fu chi offrì una rassicurante visione alternativa. E sappiamo come finì.
Precari oggi, alla fame da vecchi
di Roberta Carlini
L'Italia coltiva una bomba sociale destinata a esplodere. Quella dei lavoratori 'parasubordinati' e 'flessibili', che quando saranno in età da pensione prenderanno 500 euro al mese. Lo rivela uno studio della Sapienza.
Generazione mille euro, pensione a cinquecento. È una vecchiaia da poveri, quella che attende diverse centinaia di migliaia di lavoratori precari con contratto di collaborazione esclusiva. Quelli che, oltre al rinnovo del contratto e a un lavoro migliore, sognano la "busta arancione" che i loro colleghi svedesi ricevono dallo Stato, con su scritta la probabile pensione futura. Mentre da noi a stento riescono a sapere dall'Inps qual è il montante dei loro contributi: il nostro istituto di previdenza sociale non dà stime sulla pensione di quelli che sono nella "gestione separata", attualmente 800 mila persone. Le dà invece un rapporto commissionato dalla Cgil sulle pensioni dei lavoratori con "carriere fragili", che mette in fila alcune ipotesi generali e alcuni calcoli specifici, su altrettante carriere-tipo, per simulare quella che potrà essere la pensione futura del mondo precario, quando i primi lavoratori, che hanno incominciato a ingrossare le fila dell'esercito degli "atipici" dalla metà degli anni '90, incominceranno a ritirarsi, cioè intorno al 2030-2035.
Sommossa in Rete
Da questa simulazioni, più che una busta arancione viene fuori una busta nera: secondo i dati elaborati nel rapporto da un gruppo di economisti dell'università la Sapienza di Roma, saranno in molti, tra gli attuali precari, a uscire dal mondo del lavoro con una pensione inferiore (e in alcuni casi, di molto) al loro primo reddito. E di poco superiore al livello di sussistenza dell'assegno sociale.
"Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale". La frase è ormai celebre nel mondo dei precari. L'ha pronunciata qualche mese fa il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua davanti a una platea di assicuratori privati ed è subito esplosa in siti, blog, forum della vasta e capillare rete dei lavoratori "para". Poi è stata semismentita, ridimensionata, contestualizzata. Fatto sta che a tutt'oggi, a quindici anni dalla nascita della gestione separata dell'Inps (che conta circa un milione e mezzo di contribuenti attivi, 800 mila dei quali sono "collaboratori esclusivi", dunque vivono solo della loro collaborazione) i parasubordinati sanno ufficialmente assai poco del futuro che li aspetta. Solo nell'autunno scorso sono state spedite - ha annunciato l'Inps - le lettere con l'estratto contributivo di ciascuno. E se ci si collega on line, si può avere l'ammontare dei contributi ma non il calcolo della pensione finora maturata (che i dipendenti invece possono scaricare), né alcuna stima sulla potenziale pensione a 65 anni. I tecnici dell'Inps spiegano che è oggettivamente difficile fare una cifra esatta: come si fa, per esempio, a sapere quanto guadagnerà nei prossimi trent'anni Marianna, che dall'anno scorso è collaboratrice in un grande studio grafico e prende mille euro al mese?
Si possono però fare delle ipotesi: sull'andamento del Pil, dei salari e della carriera individuale del lavoratore interessato. E le ipotesi generali sulle quali si sono basati gli economisti che hanno stilato il rapporto non sono particolarmente nere: si presume che il prodotto intorno lordo cresca dell'1,5 per cento all'anno (in termini reali, cioè depurato dall'inflazione) e che anche i redditi dei parasubordinati seguano lo stesso ritmo. Uno scenario moderatamente ottimista: oggi siamo molto al di sotto, nella crescita annuale del Pil. Bene, cosa succederebbe ai precari nel quadro ipotizzato dal rapporto?
Marianna e Daniele
Facciamo i conti in tasca a Marianna, fresca d'ingresso al lavoro, davanti al suo computer nuovo. Se Marianna continuerà a passare da un contratto di collaborazione a un altro, perdendo nel passaggio un mese all'anno (ipotesi abbastanza frequente, purtroppo) e resterà sul mercato del lavoro fino a 65 anni, quando andrà in pensione, con quarant'anni di contributi, prenderà l'equivalente degli attuali 7.890 euro: e questo perché ha cominciato a lavorare nel 2010, quando erano già in vigore le regole attuali che hanno alzato i contributi al 26 per cento. Daniele, collega di Marianna che però ha cominciato a lavorare nello stesso studio nel 1996, quando i contributi erano più bassi, al momento di andare in pensione - con quarant'anni di contribuzione - prenderà 6.719 euro lordi l'anno. Vale a dire: Daniele nel primo mese di pensione guadagnerà, in termini reali, meno della metà di quanto ha preso al suo primo stipendio, pur avendo sempre lavorato per quarant'anni di seguito. La stessa realtà si può raccontare anche in modo più crudo: all'inizio del suo lavoro, aveva un reddito di poco inferiore a tre volte l'assegno sociale, ossia il livello minimo di assistenza per gli anziani poveri. Alla fine della sua carriera, la sua pensione supererà di poco l'assegno sociale.
Si potrebbe obiettare però che non tutti restano "atipici" per sempre, che un collaboratore può diventare dipendente e migliorare la sua posizione. Non di molto, però. Nelle tabelle si vede cosa succederà in caso di "carriera mista"; cioè se Daniele o Marianna, al quindicesimo anno di contratti di collaborazione, verranno assunti come dipendenti a tempo indeterminato, e supponendo che nelloccasione il loro reddito cresca del 20 per cento. Il primo vedrà salire la sua pensione a 10.180 euro annui (cioè con il potere d'acquisto che ha oggi questa cifra), la seconda a 11.314. Non avranno da scialare, saranno al di sotto del loro salario di inizio carriera e intorno al doppio dell'assegno sociale. E andrà peggio se l'assunzione come lavoratore dipendente arriverà dopo 25 anni di lavoro.
Working poor
Cifre allarmanti. Che inquietano soprattutto per un motivo: non si parla qui di lavoratori marginali, o di gente che entra e esce dal lavoro. Ma di persone che restano sul mercato del lavoro per tutta la vita, con redditi bassi ma con una carriera contributiva costante: i working poor di oggi, i pensionati poverissimi di domani. Che non hanno neanche la possibilità di ricorrere alla previdenza integrativa, visto che con quei redditi è difficile pagarsela. Naturalmente, si può sperare che tutto si aggiusti, che per gli attuali parasubordinati si aprano carriere brillanti, che Marianna e Daniele e i loro colleghi abbiano in pochi anni stipendi quadruplicati e la possibilità di mettere da parte contributi più sostanziosi. Ma vanno anche considerati casi peggiori dei loro: come quelli dei cocopro che stanno adesso ben al di sotto dei mille euro al mese. Alcuni di loro, quando in un improvvisato gazebo fuori dalla sede centrale dell'Inps la Cgil ha fornito simulazioni della pensione futura basate proprio su questi calcoli, se ne sono andati a testa bassa: "Pensavo di prendere poco, ma non così poco", ha commentato Giulio, addetto a un call center, dopo che gli hanno pronosticato una pensione pari agli attuali 350 euro.
Andrà meglio per un precario della ricerca, che forse prima o poi riuscirà a salire in cattedra dopo tutta la trafila: dottorato, assegno di ricerca, posto da ricercatore, passaggio a professore. Alla fine il suo stipendio sarà ottimo, ma la sua pensione no, dato che risentirà del lungo periodo di bassa contribuzione (v. tabella).
Insomma, la situazione è cupa. Anche se il protocollo sul welfare firmato da governo e sindacati nel 2007 ha posto come obiettivo per tutti che la pensione non sia inferiore al 60 per cento dell'ultima retribuzione, molti parasubordinati sanno che per loro quel parametro resterà lontano. Ma un conto è guardare le percentuali, un conto le cifre assolute. Sarà per questo che qui da noi nessuno riceve la busta arancione.
Commento:
Il fenomeno della precarietà colpisce i giovani in tutti i Paesi. Questo, unito agli incentivi a favore della mobilità dei lavoratori all'interno dell'U.E., finisce per creare carriere poco lineari e difficilmente ricostruibili anche per il loro futuro assicurativo e pensionistico. Le politiche sociali - a sostegno - non dovrebbero essere considerate un costo bensì un fattore positivo per la crescita economica in quanto garantiscono accesso ai diritti, coesione sociale e stabilità politica senza le quali nessun progresso economico può essere duraturo. La crisi economica e finanziaria sarebbe stata ben più devastante senza il nostro modello di welfare. Attraverso il "pacchetto Treu" del centro-sx, poi la "legge 30/legge Biagi" del centro-dx, la precarietà, in Italia, divenne regola; la verità è che col sistema contributivo precari e lavoratori parasubordinati - come si chiamano per l'INPS - gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione.
Io, padre pieno di dubbi, di Giorgio Bocca
Io, padre pieno di dubbi
di Giorgio Bocca
Ogni giorno mi chiedo se e in che cosa sbaglio con loro, in un dialogo interiore che non avrà mai fine. Eppure qualcosa ho imparato, negli anni: che i legami di famiglia sono gli unici che resistono a tutto.
Penso di continuo, da padre, a come garantire il futuro dei miei figli e nipoti, anche se mi rendo conto benissimo che in certo modo forzo i loro desideri e le loro scelte, che è un sopruso da vecchio. Ma che altro è la famiglia se non quest'intreccio di contraddizioni, di lacci e lacciuoli da cui cerchiamo di scioglierci mentre li stringiamo?
Mi rendo conto di continuo che l'educazione permissiva è un errore, che l'educazione senza verghe non li abitua alle punizioni e ai sacrifici, ma appena sento di genitori duri e aridi compiango i loro figli. Com'è difficile vivere e come è insostituibile vivere anche nei suoi errori. Non la finisco mai di tediare i miei figli e nipoti con la necessità della parsimonia, se non del sacrificio, non cesso mai di ricordargli i vantaggi di un padre lavoratore, risparmiatore, di ricordargli che la presente fortuna è sempre a rischio, che la triste povertà è sempre in agguato. Arrivo all'assurdo di rimproverargli in cuor mio di non aver fatto i sacrifici che giustamente potevano evitare. Di non aver osato e rischiato quando non ne avevano bisogno o quando sarebbe stato un errore osare e rischiare.
So che questo colloquio interiore con figli e nipoti è privo di senso, una copia in falsetto del colloquio interiore che certamente essi hanno con me, ma come sostituirlo, come non rendersi conto che la famiglia è questo e non altro: un eterno compromesso fra gli affetti e il buon senso, fra il buon pater familias e i giovani vitali e istintivi che siamo stati, fra le generazioni che continuano ma cambiano, e questa è la sola labile storia che li unisca, una storia che ci segue e comanda.
I parenti saggi, per dire quelli della mia età che sono saggi finché non danno fuori se non di matto, ma da imprevedibili come tutti siamo, mi ripetono i loro consigli: alla figlia dai troppi soldi, non imparerà mai a vivere del suo, del ragazzo non freni la violenza che ora è voglia di vivere ma potrebbe diventare arroganza o prepotenza.
Hanno ragione, ma a parole, non nella vita come è, ed è la vita com'è che non insegna niente a nessuno, checché ne dicano i libri di scuola, che costringe tutti a ripetere gli stessi errori salvo diventare un tronco d'albero senza più vita. Ora ti frena e ora ti consiglia a non remare contro ai desideri e ai capricci dei figli. Il miracolo della famiglia è di resistere negli anni alle sue contraddizioni, ai confronti dei difetti e dei gusti, di far vivere fianco a fianco per anni persone legate nel sangue ma diversissime in tutto il resto, insomma il miracolo di vincere la noia familiare e di far prevalere i conforti, gli imprevedibili conforti familiari di cui mi sono reso conto negli anni di ferocia che abbiamo chiamato di piombo.
In quegli anni ho visto che gli unici legami che resistevano alla paura e all'odio erano quelli familiari, che gli unici a non ripudiare il figlio terrorista o sbirro erano i parenti, gli unici che incontravi nei parlatori delle carceri o nelle corsie degli ospedali. È la constatazione che a superare le prove supreme della parentela, della comune origine, della comune storia è un legame carnale, un fatto diciamo bestiale più che intellettuale ci richiama al mistero dell'umana esistenza pronta a uccidere per sopravvivere e a morire per solidarietà.
di Giorgio Bocca
Ogni giorno mi chiedo se e in che cosa sbaglio con loro, in un dialogo interiore che non avrà mai fine. Eppure qualcosa ho imparato, negli anni: che i legami di famiglia sono gli unici che resistono a tutto.
Penso di continuo, da padre, a come garantire il futuro dei miei figli e nipoti, anche se mi rendo conto benissimo che in certo modo forzo i loro desideri e le loro scelte, che è un sopruso da vecchio. Ma che altro è la famiglia se non quest'intreccio di contraddizioni, di lacci e lacciuoli da cui cerchiamo di scioglierci mentre li stringiamo?
Mi rendo conto di continuo che l'educazione permissiva è un errore, che l'educazione senza verghe non li abitua alle punizioni e ai sacrifici, ma appena sento di genitori duri e aridi compiango i loro figli. Com'è difficile vivere e come è insostituibile vivere anche nei suoi errori. Non la finisco mai di tediare i miei figli e nipoti con la necessità della parsimonia, se non del sacrificio, non cesso mai di ricordargli i vantaggi di un padre lavoratore, risparmiatore, di ricordargli che la presente fortuna è sempre a rischio, che la triste povertà è sempre in agguato. Arrivo all'assurdo di rimproverargli in cuor mio di non aver fatto i sacrifici che giustamente potevano evitare. Di non aver osato e rischiato quando non ne avevano bisogno o quando sarebbe stato un errore osare e rischiare.
So che questo colloquio interiore con figli e nipoti è privo di senso, una copia in falsetto del colloquio interiore che certamente essi hanno con me, ma come sostituirlo, come non rendersi conto che la famiglia è questo e non altro: un eterno compromesso fra gli affetti e il buon senso, fra il buon pater familias e i giovani vitali e istintivi che siamo stati, fra le generazioni che continuano ma cambiano, e questa è la sola labile storia che li unisca, una storia che ci segue e comanda.
I parenti saggi, per dire quelli della mia età che sono saggi finché non danno fuori se non di matto, ma da imprevedibili come tutti siamo, mi ripetono i loro consigli: alla figlia dai troppi soldi, non imparerà mai a vivere del suo, del ragazzo non freni la violenza che ora è voglia di vivere ma potrebbe diventare arroganza o prepotenza.
Hanno ragione, ma a parole, non nella vita come è, ed è la vita com'è che non insegna niente a nessuno, checché ne dicano i libri di scuola, che costringe tutti a ripetere gli stessi errori salvo diventare un tronco d'albero senza più vita. Ora ti frena e ora ti consiglia a non remare contro ai desideri e ai capricci dei figli. Il miracolo della famiglia è di resistere negli anni alle sue contraddizioni, ai confronti dei difetti e dei gusti, di far vivere fianco a fianco per anni persone legate nel sangue ma diversissime in tutto il resto, insomma il miracolo di vincere la noia familiare e di far prevalere i conforti, gli imprevedibili conforti familiari di cui mi sono reso conto negli anni di ferocia che abbiamo chiamato di piombo.
In quegli anni ho visto che gli unici legami che resistevano alla paura e all'odio erano quelli familiari, che gli unici a non ripudiare il figlio terrorista o sbirro erano i parenti, gli unici che incontravi nei parlatori delle carceri o nelle corsie degli ospedali. È la constatazione che a superare le prove supreme della parentela, della comune origine, della comune storia è un legame carnale, un fatto diciamo bestiale più che intellettuale ci richiama al mistero dell'umana esistenza pronta a uccidere per sopravvivere e a morire per solidarietà.
Papi girls, anche Elvira va alla sbarra
di Lirio Abbate
La deputata del Pdl Savino a processo con un'accusa pesante: aver fatto da intermediaria tra la malavita organizzata pugliese e le istituzioni. Una vicenda emersa dopo una retata antimafia a Bari nel 2009
Tutte le strade portano a Bari. Dove sesso, politica e affari sono i pilastri di un sistema di potere vincente. Lo usava Giampaolo Tarantini, piazzando escort nel lettone di palazzo Grazioli e nelle ville dei padroni della sanità pugliese. Lo usano ancora oggi altri imprenditori senza scrupoli che riforniscono di allegra compagnia chi arbitra gli appalti. Ma prima di loro c'è stato un imprenditore, spregiudicato negli affari e nelle conquiste galanti, che è riuscito a creare una scuderia vincente. E a metterla al servizio del più feroce boss della mafia pugliese. Il cervello di queste operazioni che mette insieme piacere, corruzione e riciclaggio è Michele Labellarte, un bancarottiere morto a 48 anni nel settembre 2009, passato dagli investimenti nella new economy a quelli nel mestiere più antico del mondo.
Il suo fascino di playboy gli ha permesso scoperte che poi si sono imposte alla corte di Silvio Berlusconi. A partire da due ragazze che a Roma si sono fatte valere: Elvira Savino, oggi deputata del Pdl, e Sabina Began, una modella slavo-tedesca, famosa come "l'ape regina" intorno a cui ronzavano le ragazze che hanno allietato tante nottate del premier.
Un tempo le due vivevano insieme, dividendo una camera in affitto nella capitale. Poi come in una favola, Elvira ha conosciuto il Cavaliere e nel 2008 è stata eletta in Parlamento. "Non è però stata Sabina a presentarmi Berlusconi. Il fatto che vivessimo entrambe lì è solo un caso", assicura l'onorevole Savino.
In Puglia però ha lasciato pessimi ricordi, peccati di gioventù che rischiano di avere una pesante rilevanza penale. In questi giorni nel Tribunale di Bari si è aperto il processo contro di lei per riciclaggio. L'accusa è semplice: avrebbe fatto da prestanome al clan Parisi, intestandosi uno dei conti usati per ripulire i guadagni della famiglia mafiosa.
Nel 2009, quando una maxiretata decimò la cosca cittadina, la neoparlamentare sembrava intenzionata a farsi interrogare dal pm Elisabetta Pugliese per chiarire la sua posizione. Poi ha preferito tacere e affidarsi a una nota difensiva in cui respinge ogni accusa.
Tutta colpa di Labellarte. Uno che si era lanciato nella bolla informatica di inizio millennio, tra party, società web e pacchi di fatture gonfiate per frodare il fisco. Poi l'arresto e l'amicizia in cella con il padrino più temuto e più ricco di Puglia, che gli affiderà il suo tesoro. I boss, spiega il pm Elisabetta Pugliese ai giudici, "avevano ben capito che dovevano investire il denaro", creando "legami che con il tempo si sono consolidati col mondo imprenditoriale, delle professioni, delle banche, della pubblica amministrazione, insinuandosi nella società civile e inquinandola". La mafia pugliese, dunque, "non è più una questione tra gruppi malavitosi". E il pubblico ministero accusa: "È una questione che coinvolge tutti noi e che deve farci interrogare su quello che possiamo e dobbiamo fare, salvo diventare complici se non tecnicamente almeno moralmente".
A fare breccia nella borghesia provvedeva Labellarte, che tutti conosce e tutto riesce ad ottenere. Ma l'imprenditore dalla tripla vita non può aprire conti a suo nome e così arruola le sue amiche più care. Come Sabina Began, che si sarebbe messa a disposizione per l'intestazione di un altro deposito bancario. Poi lei si trasferisce a Roma, dove incontra Berlusconi e diventa di casa a palazzo Grazioli, dove introduce aspiranti veline, cubiste e accompagnatrici. È con lei che Silvio festeggia la vittoria del 2008 che lo ha riportato a Palazzo Chigi: stando alle cronache, la teneva sulle ginocchia cantando "Malafemmina". Ed esclamava divertito: "Se qualcuno mi facesse ora una foto, varrebbe 100 mila euro". Un anno dopo "il Tempo" scrive: "Sabina Began sfoggia un nuovo tatuaggio sulla caviglia. Una farfalla circondata dalla frase: "L'incontro che ha cambiato la mia vita: S. B.". Che sono le sue iniziali, ma non solo".
Sono le due bellezze venute dal Sud a presentare al Cavaliere amici poco raccomandabili. La Began gli fa conoscere Giampy Tarantini, invitandolo a villa Certosa: l'inizio di un feeling tra l'industriale barese e il capo del governo, testimoniato da decine di telefonate e da schiere di escort convogliate da Bari fino alla capitale. Il matrimonio della Savino, con il premier testimone della sposa, è l'occasione che il brillante riciclatore Labellarte sfrutta per avvicinare il presidente del Consiglio e - secondo alcune testimonianze - conversare a lungo con lui.
Questa capacità di infilarsi ovunque è la forza di Labellarte. Che aveva fornito al clan le relazioni per concretizzare un'operazione senza precedenti: costruire il più grande campus universitario d'Italia, un megaprogetto nel comune barese di Valenzano. L'opera - stando all'inchiesta - sarebbe stata lanciata grazie all'intercessione dell'onorevole Savino. Il suo intervento si rivela prezioso soprattutto per ottenere le "manifestazioni d'interesse" di due ministeri, Istruzione e Sviluppo economico. Di fatto l'inchiesta è come un ascensore in continuo movimento dai sotterranei del crimine ai tetti più alti del potere. Da una telefonata a un incontro, da un prestanome a un nuovo affare, un unico filo finisce per collegare i criminali agli avvocati, i boss ai colletti bianchi, i soldi sporchi alla politica. Come in un domino impazzito, le mosse dei mafiosi provocano ripercussioni che arrivano fino alle stanze del governo, con il ministro Mariastella Gelmini che si trova a raccomandare un maxi-campus segnalato dall'onorevole amica del riciclatore. O dell'opposizione, con il senatore Nicola Latorre del Pd citato da Labellarte come possibile terminale di uno scambio tra "voti" e "accordini".
La morte dell'imprenditore, stroncato da una malattia, tra la paura del boss di vedere sfumare i suoi investimenti, non ha ostacolato le indagini della procura. C'è un filone dell'inchiesta che continua ad andare avanti e a ricostruire i rapporti di potere sotterranei nella capitale della Puglia. Nel mirino ci sono affari benedetti da politici di sinistra. Nel troncone originario restano ancora indagati gli avvocati Gianni Di Cagno, ex componente del Consiglio superiore della magistratura ed ex vicepresidente della provincia di Bari, e Onofrio Sisto: due nomi notissimi in città, entrambi considerati vicini politicamente a Massimo D'Alema. E nella nuova inchiesta di Bari salta fuori ancora una volta il "metodo Tarantini": oltre alle mazzette in denaro c'erano le escort, pronte ad ammorbidire gli uomini di partito.
I boss, B. e il patto segreto
di Lirio Abbate
I soldi di Bontate, i pagamenti a Riina, l'intesa con Dell'Utri, i favori del governo. L'ultima verità di Brusca.
Quattro nomi omessi in 14 anni di pentimento. Taciuti per evitare problemi e garantirsi con il silenzio una rendita futura, per sé e per Cosa nostra. Nomi che ha pronunciato solo ora e che potrebbero riscrivere la storia giudiziaria della nascita della Seconda repubblica: Vito Ciancimino, Nicola Mancino, Marcello Dell'Utri, Silvio Berlusconi. Elencati come in una catena di referenti istituzionali nella trattativa che ha permesso ai corleonesi di capitalizzare il risultato delle stragi. A parlarne è Giovanni Brusca, un tempo potente capo della famiglia di San Giuseppe Jato: quello che ha premuto il telecomando per far saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta; quello che ha deciso la morte del piccolo Santino Di Matteo.
E' stato catturato nel 1996. All'inizio ha tentato una manovra per screditare politici e magistrati, ma è stato smascherato. Allora ha fornito una collaborazione ampia: è stato il primo a rivelare "il papello" e la trattativa tra Stato e cosche nel 1992. Ma lo scorso settembre gli inquirenti hanno scoperto che continuava a gestire traffici e ricatti, proteggendo un tesoro accumulato con i crimini. Ora rischia di perdere i benefici e di essere retrocesso da "pentito" a dichiarante. Adesso, di fronte alla possibilità di vedere chiudersi le porte del carcere per sempre, senza più permessi, sostiene di volere raccontare la seconda parte della sua storia criminale. Completando un quadro che era già stato in parte intercettato dalle microspie nella sua cella. E ha rotto il silenzio mirato a «non rendere dichiarazioni su persone che sono state "disponibili" con Cosa nostra».
IL CAVALIERE.
Nei nuovi verbali Brusca parla a lungo di Silvio Berlusconi. Cita i capitali che sarebbero stati investiti da uomini del padrino Stefano Bontate nelle attività imprenditoriali di Berlusconi negli anni Settanta. Brusca dichiara che il fondatore della Fininvest pagava ogni anno a Bontate 600 milioni di lire. Dopo la morte del padrino, ucciso dai corleonesi nel 1981, i versamenti cessano. Allora - spiega il dichiarante - nel 1986 Ignazio Pullarà fa piazzare dell'esplosivo nella cancellata della residenza milanese di Berlusconi. Una missione nascosta a Riina, che si infuria e decide di gestire personalmente i rapporti col Cavaliere. Che - secondo Brusca - dopo la bomba ricomincia a pagare mezzo miliardo, direttamente al capo dei capi. «Poi quando venne ucciso Salvo Lima, mi disse che Ciancimino e Dell'Utri si erano proposti come nuovi referenti per i rapporti con i politici».
Il boss corleonese diffida di Ciancimino, «troppo affezionato a Provenzano», mentre Dell'Utri «era visto come erede di Bontate perché vicino a quest'ultimo». I signori della Cupola però puntano su Dell'Utri, usando come ambasciatori i mafiosi Gaetano Cinà e Raffaele Ganci. Brusca spiega che Ganci riferì a Riina: «Dell'Utri è a disposizione». E sottolinea come nel 1993 il collegamento possibile «con il nuovo movimento politico Forza Italia che sta per nascere passa sempre da Dell'Utri». Un legame cementato con ricatti espliciti: parla di messaggi inoltrati a Berlusconi attraverso Mangano, sostiene che alla fine del 1993 furono minacciate altre bombe come quelle di Roma, Milano e Firenze. «Un modo per metterlo in difficoltà» con il governo che si apprestava a guidare, se non avesse varato leggi in favore di Cosa nostra.
Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi In quel momento Brusca diventa uno dei grandi capi di tutta la mafia e ricorda di avere ricevuto nel 1994 un messaggio da Berlusconi e Dell'Utri che, tramite Mangano, garantivano: «Si sarebbero impegnati a soddisfare le nostre richieste». Le promesse si sarebbero trasformate subito in fatti. Per i pm uno degli esempi concreti è il "decreto salvaladri" varato dal governo Berlusconi nel luglio 1994. A bloccarlo fu il ripensamento dell'allora ministro Roberto Maroni: «Dopo aver parlato con alcuni magistrati in prima linea contro la mafia», disse Maroni, «ho scoperto che questo decreto è diverso da quello che c'era stato prospettato... Ci sono altre parti che complessivamente depotenziano l'azione dello Stato contro la criminalità».
LA FASE DUE.
Secondo Brusca l'intesa con Forza Italia è la fase due di una strategia nata all'indomani di Capaci. Nel luglio 1992 - prima dell'autobomba di via D'Amelio - c'era stato il tentativo di venire a patti con le istituzioni, mediato da Vito Ciancimino. E Brusca ribadisce che il referente ultimo della trattativa era Nicola Mancino, all'epoca ministro dell'Interno e uomo forte della Dc.
L'ex boss ricorda quando Riina gli fece il nome di Mancino come la persona che doveva rispondere alle richieste del "papello". Mette a verbale anche «il disprezzo» di Leoluca Bagarella, cognato di Riina, che commenta la notizia dei vetri blindati installati per proteggere la casa di Mancino. Nicola Mancino, ex vicepresidente del Csm, ha sempre respinto ogni ipotesi di un suo ruolo nella vicenda.
Zagrebelsky sul Berlusconismo
di Marco Damilano
Parla l'ex presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky
In Italia le leggi ad personam e gli strappi continui del governo Berlusconi sembrano svuotare di senso la Costituzione. Eppure le istituzioni non vengono formalmente toccate e gli italiani continuano a votare ogni anno. La sovranità appartiene al popolo: ma possiamo smettere di essere una democrazia senza neppure accorgercene?
"Lei mi chiede se la democrazia può essere svuotata dall'interno, senza un cambiamento formale delle regole. E la mia risposta è: sì", afferma Gustavo Zagrebelsky, docente di Diritto costituzionale a Torino, già presidente della Consulta, che da anni dedica appassionati interventi a questo tema. "Gli ultimi decenni, non solo in Italia, ci consegnano un paradosso. Storicamente la democrazia è stata l'aspirazione di chi voleva essere incluso: l'obiettivo degli esclusi dal potere per accedere al potere. Oggi, invece, nessuno si proclama più democratico di chi è già al potere. E accusa gli altri, coloro che gli si oppongono, di essere anti-democratici. Chi un tempo chiedeva più democrazia oggi è disincantato e ciò si manifesta in molti modi, dall'astensionismo a quell'atteggiamento, "tanto sono tutti uguali!", che esprime un grave distacco dalla democrazia. Mentre chi è al potere rivendica per sé la democrazia".
Perché questo capovolgimento?
"Perché la democrazia possiede una caratteristica meravigliosa, dal punto di vista dei governanti. Prima delle rivoluzioni liberali il re non governava in nome suo ma in nome di Dio. La legittimazione del suo potere era trascendente. Con la secolarizzazione della politica, il potere è stato reso del tutto immanente e chi governa ha dovuto trovare una nuova forma di legittimazione. Chi governa, in democrazia deve giurare di farlo in nome del popolo. Una volta si sarebbe detto: "Non lo faccio per amore mio, ma per amore di Dio". Oggi la formula è stata corretta dai governanti: ciò che essi fanno, lo fanno "per amore del popolo". Anche le leggi ad personam sono proposte e sostenute in nome di interessi generali, non del proprio: la "governabilità", la privacy dei cittadini, la rapidità della giustizia, ecc. Non sono io che lo voglio. Sono i cittadini che lo chiedono. Proclamarsi democratici conviene".
Come si può definire questo nuovo sistema se la regola della democrazia si è invertita?
"La scienza costituzionale e politologica meno ingenua ha preso atto che le difficoltà odierne della democrazia non sono più interpretabili semplicemente alla stregua di "promesse non mantenute", secondo una celebre espressione di Norberto Bobbio: non mantenute ma che rientrano pur sempre nell'orizzonte del possibile, secondo le categorie classiche della democrazia. Bobbio, concludeva la sua analisi amara con un "ciononostante": cioè, malgrado tutto le difficoltà non contraddicono il paradigma, che resta sempre nell'ambito del possibile. Oggi stanno mutando proprio i paradigmi. C'è chi come Colin Crouch parla di post-democrazia, l'esule serbo Predrag Matvejevic ha coniato la parola "democratura", che è la contrazione di democrazia e dittatura. Sono sintomi di un fenomeno nuovo: la convivenza di forme democratiche e sostanze non democratiche. Ovunque, le democrazie sono esposte a tendenze oligarchiche: concentrazione dei poteri, insofferenza verso i controlli, nascondimento del potere reale e rappresentazione pubblica di un potere fasullo. In democrazia, il potere ha bisogno di esibirsi in pubblico, trasformandola in "teatrocrazia". Con i veri autori che, come in una rappresentazione teatrale, restano dietro le quinte".
L'Italia di Berlusconi è un laboratorio?
"La particolarità italiana è che questa tendenza politica si è innestata su una concentrazione di potere economico e mediatico che l'espressione "conflitto di interessi" non registra. Proporrei di cambiarla con "sommatoria di interessi" che convergono in una concentrazione personale che nessuna democrazia effettiva potrebbe tollerare. L'Italia di oggi è un sistema oligarchico accentuatamente personalizzato. Non c'è solo Berlusconi. Sarebbe un errore non considerare che attorno a lui si è formato un sistema d'interessi, di gruppi di potere che per ora lo sorreggono ma lo limitano anche. Ma tutto dietro le quinte".
Fatichiamo a usare parole come dittatura e regime, si rischia di banalizzarle. Ma si può fare un paragone tra l'Italia berlusconiana e altri recenti sistemi autoritari? Lo stesso Berlusconi ha evocato la sua somiglianza con Mussolini...
"Rispetto al fascismo ci sono differenze enormi. Non c'è, per fortuna, l'uso della violenza contro gli avversari politici, non c'è il mito della razza né la grandeur nazionalista, non ci sono una politica estera espansionistica e l'idea della guerra come strumento di politica interna. E soprattutto non si vede un progetto, paragonabile non dico per contenuto, ma nemmeno per organicità, a quelli dei regimi quali quelli che lei ha evocato dal passato".
Eppure del berlusconismo si dice che è una visione del mondo. Qual è la sua ideologia?
"Nell'insieme, il berlusconismo a me pare un cortocircuito tra mezzi e fini. Il potere per il potere, il mezzo che diventa un fine. Non c'è un progetto diverso da quello di restare sempre con le vele spiegate al vento, cioè sempre al potere. Il rapporto tra consenso e politiche si è corrotto. Non si cerca consenso per un progetto, ma il progetto è avere consenso. I sondaggi hanno fatto irruzione nella politica. Non è un fatto marginale, ma è un mutamento d'essenza. Sono lo strumento di chi, come una banderuola al vento, cerca di stare comunque nella corrente. Sarebbero il segreto del potere in eterno, se poi non ci fosse la dura replica dei fatti e dei problemi, come quelli che nascono da una crisi economica e sociale, che chiedono ai governanti non di seguire i sondaggi ma di produrre politiche".
Siamo al punto: possiamo smettere di essere una democrazia senza accorgercene?
"La democrazia è un sistema molto accogliente, tollerante. Le sue procedure possono essere, e sono state utilizzate perfino per fini anti-democratici, come sappiamo dalla storia recente. Nelle società complesse, con apparati pubblici smisurati, il colpo di mano, il colpo di Stato, il golpe non sono più ipotizzabili. Creerebbero caos e il caos fa paura. Sono diventati strumenti della archeologia politica. Oggi la conquista del potere si fa dall'interno".
Come sta reagendo la società civile: gli intellettuali, le forze sociali, le categorie economiche?
"Una società democratica è quella in cui ci sia una tendenziale uguaglianza. Il contrario di quella in cui, diceva Rousseau, c'è chi è così povero da essere costretto a vendersi e chi è così ricco da potersi permettere di comprarlo. Una società democratica è quella in cui la cittadinanza è attiva: cittadini istruiti e informati. Se la società non è democratica, le procedure smettono di produrre democrazia. Più che la casta o la cricca, a preoccupare ci sono i giri di potere in cui bisogna entrare per sentirsi inclusi: protezione in cambio di servigi. Oggi, per difendere la democrazia, è urgente l'istruzione pubblica, contro l'incretinimento di massa. La scuola è trattata come un'appendice, i figli della classe dirigente che vanno a studiare all'estero sono la prova del tradimento che i governanti si assumono, su questo punto, davanti al loro Paese".
Perché un potere che si concepisce senza limiti attacca istituzioni di controllo come magistratura e stampa e risparmia l'opposizione politica?
"Perché, in fondo, anche l'opposizione, volente o nolente, è coinvolta nella stessa logica della maggioranza. Ci sono metodi che, una volta adottati da qualcuno, diventano omnipervasivi. Per esempio, fare politica consultando i sondaggi, significa correre tutti nella stessa direzione. Sono semmai i poteri di controllo quelli che possono andare contro corrente. Per questo, sono quelli più attaccati".
Come finirà la legge sulle intercettazioni?
"Chi può dirlo? Però, la mobilitazione in corso contro questo disegno di legge dimostra che si sta muovendo qualcosa di profondo. Il diritto non è fatto di "parole messe per iscritto", quali che siano. Esistono principi che stanno ben prima dei pezzi di carta scritti da chiunque, sia anche una maggioranza parlamentare".
Qual è il principio in gioco, in questo caso?
"La trasparenza del potere. Un potere avvolto nel segreto è un potere totalmente anti-democratico. Solo Dio nasconde il suo volto: ma non direi che Dio possa essere assunto come esempio di democrazia".
Berlusconi, i PM e i ROS
Il governo Berlusconi, oltra ai PM, aveva un altro grande nemico, il ROS dei Carabinieri.
Ha più volte, veletamente, cercato di far sopprimere questo reparto speciale senza mai riuscirci ma l'ultimo smacco ricevuto (le indagini sul sottosegretario Bertolaso senza che nessuno ne sapesse nulla) ha fatto traboccare il vaso. La sua riforma che avrebbe voluto la Polizia Giudiziaria non più dipendente dal PM andava proprio in quel senso! Svincolare la PG avrebbe significato fermare tutta l'attività d'indagine in Italia per tre grandi motivi: 1- la dirigenza delle FF.PP. non ha gli attributi per assumersi la responsabilità di fare indagini di alto livello (la carriera prima di tutto!!!);
2 - la subordinazione gerarchica farà si che le indagini siano subito portate a conoscenza dei superiori che se attivati dalle persone giuste potranno essere anche rese note agli interessati;
3 - il PM che oggi sta col fiato sul collo della PG stimola e velocizza l'attività.
Poveri noi!!!
Ha più volte, veletamente, cercato di far sopprimere questo reparto speciale senza mai riuscirci ma l'ultimo smacco ricevuto (le indagini sul sottosegretario Bertolaso senza che nessuno ne sapesse nulla) ha fatto traboccare il vaso. La sua riforma che avrebbe voluto la Polizia Giudiziaria non più dipendente dal PM andava proprio in quel senso! Svincolare la PG avrebbe significato fermare tutta l'attività d'indagine in Italia per tre grandi motivi: 1- la dirigenza delle FF.PP. non ha gli attributi per assumersi la responsabilità di fare indagini di alto livello (la carriera prima di tutto!!!);
2 - la subordinazione gerarchica farà si che le indagini siano subito portate a conoscenza dei superiori che se attivati dalle persone giuste potranno essere anche rese note agli interessati;
3 - il PM che oggi sta col fiato sul collo della PG stimola e velocizza l'attività.
Poveri noi!!!
Andrej, mercenario in Libia
di Nicolai Lilin
Un giovane serbo, che ha già combattuto per soldi in Israele e Afghanistan. Ora, reclutato da Gheddafi contro i ribelli, chiama un vecchio amico che vive a Milano. E gli propone: «Vieni, qui si guadagna molto più di quello che ti puoi immaginare...».
Ciao fratello mio caro! Quanto tempo! Sono io, Andrej...". A Milano è notte fonda e stavo dormendo da un pezzo. Un sonno profondo, interrotto dal suono del telefono. Sono abituato alle chiamate in orari improbabili: spesso è mia nonna, o mio padre o qualche vecchio amico da città lontane della Russia. Ma quel prefisso straniero non lo conoscevo proprio. E quella voce sembrava lontana, come se arrivasse da un'altra vita: un sogno. O forse un incubo. Ho cercato di svegliarmi e rimettere in moto il cervello. In quella lunga pausa, ho sentito un respiro pesante dall'altra parte, come se il mio interlocutore si stesse riprendendo dopo una dura corsa. Poi l'ho riconosciuto: "Andrej! Vecchio bandito, quanto tempo è passato! Come stai?".
"Ho bisogno di te, Nicolai. C'è da guadagnare tanti soldi, più di quelli che puoi immaginare. Ma ci serve un tiratore scelto, uno bravo come te".
"Stai scherzando, Andrej? Sei sbarcato sulla Luna con i tuoi compagni?!".
"Ma non la guardi la tv? Non hai visto cosa sta succedendo in Libia? Sono a Tripoli, lavoro per il figlio di Gheddafi...".
Sì, quella voce veniva da un altro mondo. Ricordo bene Andrej, un ragazzo serbo. Ci siamo conosciuti a Gaza, quando facevamo lavori simili. Lui era un contractor, con alle spalle le guerre della Jugoslavia: un soldato privato, eufemismo per evitare il termine politicamente scorretto di mercenario. Era stato assoldato da una piccola società ungherese, che riforniva di reduci dell'Est i colossi del settore. Io ero già considerato "un professionista" e l'esperienza dei due anni in Cecenia con i commandos dell'Armata rossa mi aveva aperto le porte di un'agenzia importante, uno dei big mondiali della sicurezza armata. Lui era più anziano, una decina di anni più di me e ne aveva viste tante. Prima l'esercito di Milosevic, poi la Legione straniera francese, lo definivano "un operatore di medio livello": uno di quelli che cercano soprattutto l'avventura.
Ci siamo conosciuti a Gaza. Lui scortava un importante industriale tedesco a cui la mia agenzia, in accordo con le autorità palestinesi e quelle israeliane, aveva organizzato un incontro con alcuni dirigenti di Hamas. Di cosa dovessero discutere non era affare né mio, né suo. Mentre aspettavamo che il vertice finisse ci siamo parlati, scambiandoci i racconti tipici dei veterani in un esperanto di inglese e lingue slave. Andrej voleva entrare in un campo d'addestramento israeliano, una sorta di master che fa decollare il curriculum dei contractor. Io avevo degli amici che potevano aiutarlo. Da allora abbiamo cominciato a scriverci e sentirci, come si fa tra commilitoni più che tra colleghi: gente che per lavoro rischia la vita e può arrivare ad uccidere. Ci siamo incontrati più volte in Afghanistan: io facevo l'istruttore dell'esercito di Karzai; lui era stato ingaggiato da una società americana che lavorava per il governo di Washington. Assieme alla polizia di Kabul dava la caccia ai trafficanti di eroina, quelli che finanziano i terroristi talebani: metteva il suo fucile al servizio della causa dell'Occidente, anche se a pagamento.
Poi le nostre strade si sono divise. Io sono andato in Iraq, a fare il bodyguard degli imprenditori stranieri, e mi sono beccato una pallottola in una gamba: ho dovuto affrontare mesi di ospedale e di riabilitazione. Non ci siamo più incrociati, ma Andrej mi scriveva spesso: ero nella sua mailing list per gli auguri nelle feste comandate o per le condoglianze per la morte di qualche collega. Sapevo che aveva cambiato parecchie agenzie e poi era riuscito a fare il salto: lo avevano accettato in una delle grandi compagnie statunitensi, aveva sposato una ragazza americana e si era trasferito negli States. Ma di quella vita meno turbolenta si era stufato in fretta: aveva divorziato, era tornato in Serbia e aveva aperto la sua "azienda di sicurezza". Ogni tanto mi offriva un posto: "Anche se non puoi stare per strada, saresti prezioso pure in ufficio...".
Io gli ho sempre detto di no. All'inizio perché mi sentivo ancora debole, la ferita mi limitava i movimenti. Poi perché ho scoperto di essere diventato una persona diversa. Ho rivisto la mia vita, sentendomi straniero. L'infanzia in un paese totalitario come l'Urss, la povertà, il carcere, la guerra civile che ha diviso la Moldavia facendomi diventare cittadino della Transnistria, i due anni di combattimenti in Cecenia come cecchino delle forze speciali di Mosca e poi il lavoro di mercenario. Sì, mercenario: lo dico senza giri di parole. Io ho rivisto come il crollo del mondo di quando ero bambino, la disillusione per gli slogan del socialismo reale, mi avessero lasciato dentro un deserto. E un Kalashinikov tra le mani come unico strumento per imporre i miei sogni.
Di gente come me e lui ne ho incontrata tanta. Conoscevano solo la guerra, non riuscivano a immaginare un'esistenza pacifica. Come il protagonista di "Hurt Locker", non sapevano farne a meno. Erano passati dalla Bosnia, dal Kosovo, dalla Cecenia agli ingaggi per le agenzie private, che li pagavano per combattere in Iraq, in Georgia e in Afghanistan. Alcuni erano anche peggio: esaltati, nichilisti che vedevano nell'uccidere e nel rischiare la morte l'unica dimensione. Anarchici in brutta copia, che sfogavano nelle armi le loro frustrazioni e la loro follia. E se gli domandavi "perché lo fai" ti rispondevano con un silenzio che dava la misura del loro vuoto interiore. Per questo sono convinto che il mestiere del mercenario non è una professione, ma una condizione mentale che nasce da un degrado abissale. Persone che vanno contro le leggi umane fondamentali e fanno della forza un concetto universale: pirati insani, che amano la distruzione. Non sono semplici assassini per soldi: è gente che ha attraversato ogni limite, fino a ritrovarsi nell'inferno.
Oggi questi prigionieri del male sono diventati gli ingranaggi di un'industria florida e spietata, che sfrutta la loro maledizione per arricchirsi: aziende che offrono un percorso legale alla marcia della morte. Sono i nuovi signori della guerra, quelli a cui gli Usa e l'Occidente hanno subappaltato le battaglie più sporche in Iraq e in Afghanistan. Alcuni si limitano a forniree servizi di scorta, proteggendo diplomatici o imprenditori senza badare a quanti muoiano perché il viaggio sia sicuro. Altri invece offrono brigate armate di tutto punto: hanno tank, elicotteri e persino bombardieri. E tutti si nutrono di guerra.
Sono soldati che non richiedono ideologie: basta pagarli. Non hanno bandiere, spesso i contractor sono vecchi nemici: in Iraq ho visto lottare fianco a fianco serbi e croati che dieci anni prima si erano sparati addosso. E quando muoiono non c'è bisogno di funerali solenni: i più fortunati, quelli ingaggiati dai big, hanno almeno un'assicurazione che li farà ricordare da figli sperduti o da vecchie madri; per molti non ci sarà nemmeno una croce sulla tomba.
E' stata anche la mia vita. Una corsa dalle barricate della Trasnistria alle macerie della Cecenia, dai campi di tiro in Israele alle basi americane in Afghanistan fino al capolinea nelle strade dell'Iraq: migliaia di proiettili, centinaia di volti spesso cancellati da un'esplosione e talmente tante storie da riempire romanzi fino alla vecchiaia. Ma sono stato fortunato, molto fortunato: sono riuscito a rinascere. Forse l'ho fatto insieme a mia figlia; quando ho visto lei venire alla luce, anch'io ho ricominciato a esistere. Ho riscoperto i valori della mia infanzia: il senso civico, il rispetto, l'amore per la vita e per le cose belle. Ho persino trovato una patria, qui in Italia, nel Paese disprezzato da tanti suoi cittadini. Perché qui ho conosciuto persone che mi hanno dato tanto senza chiedere nulla, che mi hanno mostrato quanto si possa volere bene al prossimo. E infine la letteratura, che mi ha aperto mondi senza frontiere e regalato un successo che mai mi sarei aspettato.
Quella sera io mi godevo la mia nuova vita italiana: una mostra d'arte, il concerto dei Velvet al Tunnel e la cena con il cantante Pier. Belle emozioni, momenti da ricordare con il sorriso. In motorino fino a casa, attraversando una Milano dove la pioggia stinge le luci in pitture dolci. E qualche ora nel silenzio, a scrivere il mio terzo libro, per poi cadere nel sonno. Felice, finalmente. A quel punto è squillato il cellulare, con il prefisso della Libia che non avevo mai visto. All'inizio la mia sorpresa è stata allegra: "Andrej, allora, come butta? Sei già diventato miliardario? La tua agenzia ti ha portato tanti soldi?". "Ma che! Uno come me se nasce povero, povero muore. Ho chiuso la mia agenzia un anno fa, troppa burocrazia e poco lavoro...". Io faccio una battuta: "Allora sei tornato contadino, come tuo padre?". Ma lui non era in vena di scherzi: "No, sono di nuovo operativo. Ti sto chiamando proprio per questo: ci sono tanti soldi, Nicolai, così tanti che in Israele non li guadagnavi in un anno! ".
"Operativo". Una parola che contiene tutto. Che mi trascina in un passato di blindati, di appostamenti, di battaglie tra i monti e le case della Cecenia e di tanti altri posti che vorrei dimenticare. Mi rendo conto che Andrej non sta giocando. Adesso capisco quel senso di fatica che c'è nella sua voce. "Ma dove li trovi così tanti soldi? Chi ti paga?".
"Ma tu non guardi la televisione? Non hai visto cosa succede in Libia?".
"Non mi dire che sei andato a servire a quel pezzo di merda di Gheddafi!".
"Tu non immagini quanto potere ha questa persona, mi hanno arruolato insieme con altri 300 operatori in un solo giorno, hanno pagato il triplo di commissioni alle nostre agenzie".
"Come è possibile? Gheddafi sembra isolato...".
"Ufficialmente lavoro per una compagnia petrolifera di proprietà del figlio del presidente. Mi pagano 10 mila euro a settimana. In questo paese se loro non controllano la situazione, tutto finirà nelle mani dei terroristi di Al Qaeda!".
"Non mi dire che lo fai solo per salvare il mondo dai terroristi...".
"Come sempre, nel culo ai terroristi, fratello! Senti, qui c'è tanto lavoro, mi hanno assegnato un reparto mobile: ho due elicotteri e 30 persone, serbi, croati, ungheresi, ucraini, lituani. Ma ci servono i cecchini. Abbiamo solo due tiratori capaci di colpire a 800 metri, come te: se vieni ti pagheranno un sacco di soldi!".
"Ma che dovete fare, Andrej? Contro chi dovete combattere?".
"Ma tu proprio non guardi la televisione! I terroristi, hanno preso in mano il Paese, hanno i carri armati, sono tantissimi: qui c'è una vera guerra civile! Noi facciamo le operazioni notturne, dobbiamo liberare le città occupate".
"Operazioni notturne".
I volti coperti dal passamontagna nero, la mimetica scura sopra le scarpe da ginnastica, il mitra con il visore a infrarossi, la pistola con il silenziatore e il colpo in canna, l'ultimo controllo all'equipaggiamento per essere sicuri che non faccia rumore e poi fuori nell'oscurità. Perché la notte è il regno dei contractor, quello in cui i mercenari sfruttano la loro superiorità guerriera. Piombano sugli avversari nel buio, li vanno a prendere nelle loro case o nei loro rifugi. Chi sono quelle persone da catturare o eliminare non importa: possono essere terroristi od oppositori politici, kamikaze o intellettuali, narcos miliardari o poveri contadini. I bersagli li scelgono i loro padroni per assecondare i governi che pagano, dittatori come Gheddafi o democrazie come gli Stati Uniti. Al telefono il mio vecchio commilitone serbo insiste: "Allora, hai deciso? Sei con noi?".
"Dai, Andrej, sono cittadino italiano oggi: mi sono fatto in quattro per costruirmi questa vita, non voglio mandare tutto a rotoli. Tu non ci crederai, ma sono diventato uno scrittore...". Prendo fiato e sono sincero fino in fondo: "E non credo che stiate combattendo contro i terroristi. La tv la guardo: mostra solo gente disperata che vuole la libertà. Senti, Andrej, con queste menzogne che vi raccontano finirete tutti molto male. Ma tu lo sai meglio di me, cerca di ricordartelo...".
"Mi dispiace, Nicolai: stai perdendo una buona occasione, tanti soldi...".
"Non mi servono quei soldi. Non penso ai soldi, penso che ora ho una vita più bella, che merita più di quell'inferno che state creando in Libia. Io penso ai miei amici, alla mia famiglia, penso al fatto che tra qualche giorno porterò mia figlia alla festa di carnevale...".
Questa telefonata si è chiusa con altre due frasi, che non riporterò perché sono troppo private: una sorta di confessione che Andrej ha deciso di farmi prima di riattaccare. Dico solo che quando sono rimasto nella mia stanza con il telefono in mano, in mezzo alla Milano immersa nei sogni, ho immaginato dall'altra parte della linea una persona profondamente infelice e confusa, una persona che commette atti terribili senza capire quanto siano gravi. Per un secondo mi è sembrato di essergli vicino, poi quella sensazione è sparita.
Ricordo le parole che mi ha detto un ex colonnello israeliano, contractor come me, mentre rientravamo dall'Afghanistan: "Lasciare dietro di sé un brutto ricordo è come rimanere in stato di morte per sempre, non si riesce mai a passare dall'altra parte". So che ora in Libia ci sono tante persone che, per guadagno o per il fascino della guerra, compiono azioni che le renderanno morte per sempre. Ed è terribile passare la vita in mezzo ai morti.
Nicolai Lilin, scrittore, ha raccontato in "Caduta libera" (Einaudi) la sua esperienza di cecchino russo nella guerra di Cecenia.
L Italia che applaude la Minetti
di Giorgio Bocca
La cultura berlusconiana è riuscita a rovesciare le categorie: per loro i nemici della giusta società non sono i ladri e i corruttori, ma i magistrati che cercano di far rispettare la legge. E l'impudenza diventa la norma.
Si tratti di atti comuni come di rivoluzioni, gli uomini procedono a gregge uno dietro l'altro dove li porta l'unanimismo accidentale. Perché tunisini, algerini, egiziani, iraniani scendono nelle piazze per chiedere la libertà a cui prima hanno rinunciato per seguire sultani o sacerdoti?
Persino la Libia, unico Stato arabo fino ad ora calmo e obbediente al suo dittatore nella bufera generale, grazie al petrolio che assicurava ai sei milioni di abitanti un benessere e un tenore di vita altissimo per l'Africa, ora si sta ribellando. La voglia di libertà erompe a catena come un'epidemia, perché gli uomini decidono che è il momento di lottare per la libertà a costo della vita quando lo fanno i loro vicini.
Le grandi rivoluzioni, la francese e la sovietica, produssero in tutto il mondo focolai rivoluzionari, nei giorni della rivoluzione francese in tutti paesi della santa alleanza conservatrice i giovani alzarono gli alberi della libertà, magari accogliendo in loro nome come liberatori i più grandi imperialisti come Napoleone Bonaparte. E in suo onore tanti giovani polacchi mossero a cariche disperate contro gli oppressori russi, scambiandolo per il liberatore.
In questa girandola di oppressi che diventano oppressori, di liberati che diventano schiavisti e dominatori c'è una sola cosa costante: tutti quelli che arrivano al potere rubano, coltivano l'illusione di garantirsi con il furto il perenne benessere, il perenne potere sui più poveri.
Nella Roma imperiale il furto dei vincitori era considerato normale, fisiologico. L'aristocratico Cesare, dopo aver dilapidato le sue fortune in giochi e in feste, andava nella provincia spagnola a ricostruirsi in breve tempo con la rapina del dominatore le sue fortune e i suoi connazionali non trovavano nulla d'illecito e di scorretto nel suo comportamento.
Silvio Berlusconi ha fatto di questo ladrocinio dei potenti la norma invidiata e rispettata almeno dalla metà dei suoi concittadini, i quali anche se lo biasimano in pubblico, in privato lo invidiano, vorrebbero essere al suo posto anche nel coltivare piaceri modesti e un po' turpi. Il Berlusconi che parte per un viaggio governativo assieme a una bella escort e a due simpatici avventurieri della politica non fa qualcosa di illecito, vituperato dalla gente, fa quello che la metà abbondante della gente vorrebbe fare.
In occasione dei guai processuali di Berlusconi il suo uomo di pubbliche relazioni, Giuliano Ferrara, è uscito in un paradossale ma italianissimo rovesciamento delle parti: gli eversori, i corrotti, i nemici della giusta società non sono i ladri e i corruttori, gli eversori delle leggi, ma i cittadini operosi e onesti che hanno il torto supremo di pretendere di vivere del loro lavoro, del loro sudore, come dice la Bibbia.
Sono loro la vera peste della società: gli invidiosi, gli inquisitori pronti a mandare ai ferri e alle galere i bravi e allegri dilapidatori del bene pubblico, sono loro, i lividi e tristi moralisti, a calunniare i potenti, a esortare i loro amici, i feroci magistrati, a perseguire i bravi costruttori di ricchezze e di benessere.
Bisognava vederle le migliaia di persone accorse alla requisitoria del Ferrara come applaudivano, come giubilavano a sentire trattati come infami i procuratori della Repubblica che accusano Berlusconi di aver cercato di impaurire i poliziotti per liberare la minorenne ladruncola e prostituta Ruby, come si commuovevano per la mala sorte della giovane Minetti, amante di Berlusconi e tenutaria delle giovani invitate alle sue feste.
Povera Minetti: avvertita da Silvio si era precipitata in questura a liberare la Ruby per salvarla alla sua maniera, cioè farla assistere da un'altra giovane prostituta. L'impudenza come norma, come regola.
l'ho già scritto altre volte: abbiamo superato il punto di non ritorno. significa che non possono più bastare leggi, persuasione, buona volontà, eccetera, per rimediare ai danni civili, sociali ed etici arrecati negli ultimi trent'anni alla nostra democrazia. non è solo colpa di berlusconi, anche se la forte accelerazione della attuale situazione si è avuta soprattutto grazie alle sue televisioni, ai suoi giornali, che hanno proposto un modello di vita privo di umanità, di responsabilità, assolutamente vuoto, volto soltanto al facile raggiungimento, a qualunque costo, di bisogni materiali, come può avvenire solamente in una società composta da una maggioranza di poveracci, di minus habentes sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista intellettivo. questo è quanto.
«Questo mafioso finanziò Berlusconi»
di Lirio Abbate
Si chiama Giovannello Greco, era un killer fedelissimo di Bontate. E secondo le accuse di Giovanni Brusca avrebbe prestato centinaia di milioni al Cavaliere. Uscito dal carcere, è ancora vivo, non si sa dove.
Decine di miliardi di vecchie lire: quello che negli anni Settanta era un vero tesoro, pari a centinaia di milioni di euro odierni. E' l'investimento che una cordata di mafiosi palermitani avrebbe affidato allora a Silvio Berlusconi: denaro raccolto con i proventi del narcotraffico. In prima fila in questa operazione ci sarebbe stato Stefano Bontate. Assieme a lui, un pool di altri boss avrebbe consegnato pacchi di milioni di lire al fondatore dell'Edilnord. Boss sterminati nella spietata guerra lanciata dai killer corleonesi di Totò Riina all'inizio degli anni Ottanta. Tutti morti, tranne uno. Almeno a dare fiducia alle ultimissime dichiarazioni di Giovanni Brusca: uno dei presunti finanziatori di Berlusconi sarebbe ancora vivo. E libero, perché è anche l'unico mafioso che ha ottenuto la revisione del celebre maxiprocesso.
Il nome messo a verbale da Brusca lo scorso 25 novembre è quello di Giovannello Greco, un sopravvissuto: scampato alla strage corleonese, fuggito in Spagna, arrestato 16 anni dopo e poi tornato in libertà grazie alla revisione della condanna definitiva. A 14 anni dal suo arresto si è scoperto che Brusca aveva custodito nel silenzio molte conoscenze. A partire dalla storia del presunto tesoro mafioso affidato a Berlusconi.
Il racconto – scrive l'Espresso - messo nero su bianco negli ultimi mesi secondo gli inquirenti è importante perché descrive nel dettaglio tutti i tentativi da parte dei boss di recuperare il capitale consegnato all'imprenditore milanese.
Brusca sostiene che ogni anno il Cavaliere avrebbe pagato 600 milioni di lire ai finanziatori siciliani. Poi la guerra corleonese tra il 1981 e il 1982 ha falcidiato Bontate e il suo gruppo, facendo interrompere i rapporti.
Oggi Brusca ha fornito nuovi racconti sui boss che negli anni Settanta avrebbero puntato sul Cavaliere. Tra loro ci sarebbe stato Pietro Marchese, ucciso in carcere nel 1982. E soprattutto Giovannello Greco, un fedelissimo di Bontate, accusato di aver commesso numerosi omicidi: uno dei pochi uomini del padrino palermitano sopravvissuto alla mattanza corleonese. Brusca racconta come Greco riuscì a spiazzare i sicari di Riina con un'azione improvvisa: sarebbe piombato nell'abitazione del mafioso Gaetano Cinà, amico di Dell'Utri e in quel momento alleato dei corleonesi. «Giovannello Greco torna da dove si trovava e fa una specie di sorpresa a questo Cinà, per recuperare i soldi». Cinà, secondo Brusca, è l'uomo che all'epoca poteva arrivare direttamente al braccio destro del Cavaliere. E tramite questo canale sarebbe riuscito a farsi riconsegnare la sua quota dell'investimento. Fuggito dalla Sicilia dopo la morte del suo capomafia, Giovannello Greco è stato arrestato dopo 16 anni di latitanza a Ibiza e – dopo una lunga resistenza all'estradizione – ha poi accettato di tornare in carcere in Italia. Nel 2001 Gaetano Grado, un altro degli alleati di Bontate che secondo i pentiti frequentava Arcore, ha deciso di collaborare e si è autoaccusato dell'unico tentato omicidio per cui Greco era stato condannato nel maxiprocesso.
Su questa base Greco ha ottenuto la revisione della sentenza, con l'assoluzione riconosciuta dalla Corte d'appello di Catania. Dopo avere scontato un'altra pena per associazione mafiosa, oggi Giovannello è libero e vive lontano dalla Sicilia insieme alla moglie e alle figlie.
Avvocato gratis, ecco l’iniziativa di Altroconsumo
Avere un avvocato gratis è il sogno di tutti. Peccato che la realtà sia totalmente diversa, e ci metta a disposizione consulenti legali quasi mai a buon mercato. Fortunatamente, per arrivare in soccorso di tutti i cittadini che si sentono, a vario titolo, truffati, giunge un'interessante iniziativa varata da Altroconsumo, che ha lanciato 80 Avvocati, un vero e proprio servizio di assisetnza gratuito, con il quale ottenere una prima consulenza su come agire in seguito al torto subito.
Il servizio di assistenza giuridica si avvale della presenza di 80 avvocati specializzati nelle varie tematiche del diritto, che potranno supportare l'utente di Altroconsumo con una prima consulenza gratuita.
Successivamente a questa prima consulenza senza alcun onere, l'utente potrà poi decidere il da farsi, proseguendo nella strada della tutela legale, o perseguendo altre strade, in completa autonomia.
Al servizio è possibile accedere mediante numero verde 800.13.18.45 o attraverso il sito internet www.80avvocati.it, inserendo il proprio numero telefonico per farsi richiamare.
Fisco, gli svantaggi dell’accertamento esecutivo
Come abbiamo recentemente sottolineato sulle novità del Fisco, il nuovo accertamento esecutivo sta creando parecchi disagi agli utenti colpiti da tale provvedimento. L'accertamento, ricordiamo, sostituisce le "vecchie" cartelle esattoriali, rendendo esecutivo l'accertamento stesso, e prevedendo così la riscossione delle tasse entro 60 giorni dalla ricezione, trascorsi i quali l'ente riscossore (Equitalia) può pignorare i beni mobili registrati e quelli immobili.
L'accertamento esecutivo ha quindi compresso i tempi utili per poter gestire l'evidenza fiscale, con evidenti disagi per chi vorrebbe invece cercare di curare nel migliore dei modi, e con le informazioni più ampie, questa delicata fase della propria relazione con il fisco.
Tra le numerose voci che sottolineano quali e quanti siano gli svantaggi dell'accertamento esecutivo c'è sicuramente Federconsumatori, la quale dichiara come "la stragrande maggioranza di quelli che ci chiamano è gente onesta, artigiani, piccoli imprenditori che hanno dichiarato e che, semplicemente, non sono in grado di pagare cifre che tra costi vari, aggi inspiegabili, interessi calcolati secondo moltiplicatori incomprensibili crescono in forma esponenziale nel giro di pochi anni!".
Federconsumatori contesta così la posizione del governo, secondo cui (per citare le parole dell'Onorevole Lupi) "l'azione che sta svolgendo Equitalia si inserisce nella lotta contro l'evasione".
La prima catena sensata!!!
La prima catena sensata...
Ne hanno parlato anche al tg!
Come riconoscere un attacco cardiaco.
Durante una grigliata Federica cade.
Qualcuno vuole chiamare l'ambulanza ma Federica rialzandosi dice di essere inciampata con le scarpe nuove.
Siccome era pallida e tremante la aiutammo a rialzarsi.
Federica trascorse il resto della serata serena ed in allegria.
Il marito di Federica mi telefonò la sera stessa dicendomi che aveva sua moglie in ospedale.
Verso le 23.00 mi richiama e mi dice che Federica è deceduta.
Federica ha avuto un attacco cardiaco durante la grigliata.
Se gli amici avessero saputo riconoscere i segni di un attacco cardiaco, Federica sarebbe ancora viva.
La maggior parte delle persone non muoiono immediatamente.
Basta 1 minuto per leggere il seguito:
Un neurologo sostiene che se si riesce ad intervenire entro tre ore dall'attacco si può facilmente porvi rimedio.
Il trucco è riconoscere per tempo l'attacco cardiaco!!!
Riuscire a diagnosticarlo e portare il paziente entro tre ore in terapia.
Cosa che non è facile.
Nei prossimi 4 punti vi è il segreto per riconoscere se qualcuno ha avuto un attacco di cuore:
* Chiedete alla persona di sorridere (non ce la farà);
* Chiedete alla persona di pronunciare una frase completa (esempio: oggi è una bella giornata) e non ce la farà;
* Chiedete alla persona di alzare le braccia (non ce la farà o ci riuscirà solo parzialmente);
* Chiedete alla persona di mostrarvi la lingua (se la lingua è gonfia o la muove solo lateralmente è un segno di allarme).
Nel caso si verifichino uno o più dei sovra citati punti chiamate immediatamente il pronto soccorso.
Descrivete i sintomi della persona per telefono.
Un cardiologo sostiene che se mandate questa mail ad almeno 10 persone, si può essere certi che avremmo salvato la vita di Federica, ed
eventualmente anche la nostra.
Quotidianamente mandiamo tanta spazzatura per il Globo, usiamo i collegamenti per essere d'aiuto a noi e agli altri.
Sei d'accordo?
Io si!
Ne hanno parlato anche al tg!
Come riconoscere un attacco cardiaco.
Durante una grigliata Federica cade.
Qualcuno vuole chiamare l'ambulanza ma Federica rialzandosi dice di essere inciampata con le scarpe nuove.
Siccome era pallida e tremante la aiutammo a rialzarsi.
Federica trascorse il resto della serata serena ed in allegria.
Il marito di Federica mi telefonò la sera stessa dicendomi che aveva sua moglie in ospedale.
Verso le 23.00 mi richiama e mi dice che Federica è deceduta.
Federica ha avuto un attacco cardiaco durante la grigliata.
Se gli amici avessero saputo riconoscere i segni di un attacco cardiaco, Federica sarebbe ancora viva.
La maggior parte delle persone non muoiono immediatamente.
Basta 1 minuto per leggere il seguito:
Un neurologo sostiene che se si riesce ad intervenire entro tre ore dall'attacco si può facilmente porvi rimedio.
Il trucco è riconoscere per tempo l'attacco cardiaco!!!
Riuscire a diagnosticarlo e portare il paziente entro tre ore in terapia.
Cosa che non è facile.
Nei prossimi 4 punti vi è il segreto per riconoscere se qualcuno ha avuto un attacco di cuore:
* Chiedete alla persona di sorridere (non ce la farà);
* Chiedete alla persona di pronunciare una frase completa (esempio: oggi è una bella giornata) e non ce la farà;
* Chiedete alla persona di alzare le braccia (non ce la farà o ci riuscirà solo parzialmente);
* Chiedete alla persona di mostrarvi la lingua (se la lingua è gonfia o la muove solo lateralmente è un segno di allarme).
Nel caso si verifichino uno o più dei sovra citati punti chiamate immediatamente il pronto soccorso.
Descrivete i sintomi della persona per telefono.
Un cardiologo sostiene che se mandate questa mail ad almeno 10 persone, si può essere certi che avremmo salvato la vita di Federica, ed
eventualmente anche la nostra.
Quotidianamente mandiamo tanta spazzatura per il Globo, usiamo i collegamenti per essere d'aiuto a noi e agli altri.
Sei d'accordo?
Io si!
Impianto Fotovoltaico: importante differenza !!!
Produzione dell’acqua calda: impianto solare termico e fotovoltaico a confronto
Ancora troppo spesso si tende a confondere un impianto solare fotovoltaico con un impianto solare termico. Uno dei pochi impieghi per cui possono essere utilizzati entrambi (anche se per quanto riguarda il fotovoltaico si tratta di un utilizzo 'indiretto') è il riscaldamento dell'acqua per uso domestico e industriale, ma a parte questo si tratta di due tecnologie differenti con utilizzi differenti, entrambe basate sull'energia solare.
Il solare termico permette di riscaldare l'acqua sanitaria per uso quotidiano senza l'utilizzo di elettricità o gas. Il funzionamento di un pannello solare di questo tipo è molto semplice: il calore proveniente dal sole viene assorbito e trasferito ad un apposito serbatoio d'acqua. La circolazione dell'acqua dal serbatoio ai rubinetti domestici può avvenire mediante circolazione naturale o forzata, quindi tramite una pompa idraulica con alimentazione elettrica. E' un impianto che necessita di svariata manutenzione, dal momento che il fluido che trasporta il calore deve essere cambiato ogni due anni.
Per scaldare completamente l'acqua contenuta nel serbatoio, un pannello solare termico impiega mediamente 10 ore, che possono variare in base all'esposizione solare, alla stagione e alle condizioni meteorologiche.
Dotandosi di un impianto solare termico è possibile risparmiare il gas o l'energia elettrica che verrebbero consumati da un comune scaldabagno, ma non si andrebbe ad annullare comunque la necessità di possedere una caldaia, dal momento che la produzione di acqua calda, per fattori indipendenti dall'impianto, può non essere sufficiente al fabbisogno.
Senza contare che, a differenza di un impianto solare fotovoltaico, uno solare termico non è assolutamente in grado di produrre energia elettrica e quindi dovrà sempre essere coadiuvato da una sorgente di energia complementare, sia essa elettricità, gas, gasolio o legna.
Diversamente, un impianto solare fotovoltaico è in grado di sostituire in tutto e per tutto qualsiasi altra fonte di energia: l'energia solare viene convertita direttamente in energia elettrica, che può essere utilizzata per qualsiasi scopo all'interno dell'abitazione, anche per scaldare l’acqua mediante il boiler elettrico per esempio, oppure può essere ceduta al GSE ottenendone un utile. L'energia prodotta in questo modo è completamente verde ed è interamente utile e valorizzata.
Per contro, le dimensioni dei pannelli necessari per alimentare un impianto solare fotovoltaico sono di gran lunga maggiori di quelle dei pannelli utilizzati in un impianto solare termico.
Quando ci si trova a dover decidere cosa installare è sempre bene dunque fare una valutazione sulla base delle proprie necessità e della disponibilità degli spazi o comunque chiedere informazioni alle società competenti.
Plutonio, mercurio e amianto
Se a qualcuno interessa scoprire perchè tutti gli esseri viventi sono intossicati cronicamente da elementi tossici, sia flora che fauna e quindi capire perchè ogni essere umano è a rischio di gravi patologie, può andare sul sito cristianadistefano.it dove trova la relazione integrale e centinaia di documenti anche scientifici, referti, testimonianze, ecc.
Gli amalgami dentali emettono vapori di mercurio 24 ore su 24. Il mercurio è l’elemento tossico più pericoloso al mondo secondo solo al plutonio perchè radioattivo, quindi molto, ma molto più pericoloso dell’amianto anche per le più facili, molteplici vie e modalità di contaminazione.
La Riforma delle riforme
La riforma delle riforme: parlare se sai di cosa parli!!!
Una delle riforme più urgenti in materia di giustizia dovrebbe essere l'obbligo di informarsi prima di parlare di giustizia.
Una delle riforme più urgenti in materia di giustizia dovrebbe essere l'obbligo di informarsi prima di parlare di giustizia.
Che cos’è la conciliazione?
La conciliazione è una procedura di risoluzione delle controversie in base alla quale una terza persona imparziale, il conciliatore, assiste le parti in conflitto guidando la loro negoziazione e orientandole verso la ricerca di accordi reciprocamente soddisfacenti. La conciliazione non vuole sopperire alle carenze del sistema giudiziario, ne si pone come alternativa alla giustizia, ma propone una via, differente dalle altre più conosciute o più praticate, di soluzione dei conflitti. Ad esempio l’arbitrato, così come il processo civile, appartiene alle procedure contenziose, cioè rappresenta uno scontro tra due parti volto ad accertare la violazione di un diritto: compito del giudice, o dell’arbitro, è quello di mettere a confronto le parti e individuarne le relative responsabilità. Diversamente, con la conciliazione si tenta di individuare la soluzione ottimale del problema e di orientare le parti a giungere ad un accordo vantaggioso per entrambe.
Da questa definizione si deducono alcune delle caratteristiche più importanti:
a) Volontarietà del procedimento: Le parti partecipano alla conciliazione per decisione propria, e: possono decidere di portare a buon fine la procedura solo se lo considerano conveniente per i loro interessi. in caso di accordo delineano personalmente i suoi termini. non sono costrette a rinunciare ad altre vie per risolvere il conflitto.
b) Procedura Cooperativa: La conciliazione contribuisce non solo ad ottenere una soluzione ai
problemi, ma anche a rafforzare le relazioni in base al principio della negoziazione collaborativa per cui si deve "attaccare il problema e non le persone coinvolte".
c) La imparzialità il conciliatore è un terzo imparziale, nel senso che non può avere interessi in comune con nessuna delle parti.
d) È una procedura rapida: Mentre la durata media di un giudizio civile ordinario si protrae per anni, il tentativo di conciliazione può consentire una risoluzione in una sola seduta.
e) Creatività sulla misura degli interessi e i bisogni delle parti. Ogni accordo sarà modellato;
f) Preserva la riservatezza: Nulla di ciò che emerge dalle udienze di conciliazione potrà essere rivelato dai conciliatori, ne dalle parti. La riservatezza è una caratteristica fondamentale della conciliazione. Per assicurarla, si deve firmare prima dell’inizio delle sessioni, un "Accordo di Riservatezza".
g) Autocomposizione: Le parti hanno un’equa opportunità di esprimere la loro visione del disaccordo e di ascoltarsi reciprocamente; sono loro stesse (e non un terzo) a decidere la portata del loro accordo, e le modalità di formalizzazione.
h) E’ economica: Si pagano solo gli onorari del conciliatore, che hanno un costo fisso; non si devono pagare né le tasse giudiziarie, ne perizie, ne altri costi addizionali.
i) Autonoma Se le parti non arrivano ad un accordo, non perdono alcun diritto e, possono avviare una causa giudiziaria. Nel caso che la conciliazione si concluda col raggiungimento di un accordo totale o parziale, questo avrà valore di contratto, e le parti si impegneranno a dare esecuzione al medesimo nei termini da loro stabiliti.
l) Direzione della procedura ad opera del conciliatore: Il conciliatore è un terzo imparziale, con la preparazione sufficiente ad applicare tecniche speciali che aiutino ad ascoltare, valutare e creare alternative.
venerdì 23 dicembre 2011
Cambiare compagnia assicurativa: cosa controllare prima di farlo.
Nella rete possiamo trovare tantissime compagnie assicurative che ci permettono di risparmiare rispetto alle compagnie tradizionali. Quando avremo trovato la compagnie assicurativa che rispetta in pieno le nostre esigenze, dobbiamo fare un disdetta per la polizza attuale, verificando se quella attuale è senza oppure con il tacito rinnovo. Se la vecchia polizza ha il tacito rinnovo, dobbiamo inviare una lettera di disdetta per raccomandata con ricevuta di ritorno circa 15 giorni prima della scadenza e via fax.
Se non è presente il tacito rinnovo, non abbiamo bisogno di inviare niente, in quanto avverrà il tutto in forma automatica.
Se invece la proposta di rinnovo che abbiamo ricevuto dalla compagnia assicurativa ha un aumento percentuale del premio superiore al tasso di inflazione programmato, non dobbiamo inviare la disdetta 15 giorni prima, ma anche l’ultimo giorno in cui è valida la polizza assicurativa.
Tutte le compagnie assicurative sono tenute ad inviare al cliente l’attestato originale di rischio 30 giorni prima della scadenza della polizza, in modo da permetterci di cambiare compagnia assicurativa con facilità, inoltre il
tacito rinnovo deve contenere i seguenti dati: la denominazione dell’impresa assicuratrice, la firma dell’assicuratore, il nome del contraente, il numero della polizza, la formula tariffaria, la data di scadenza della polizza. E’ quindi molto “facile” cambiare compagnia assicurativa, ma dobbiamo stare sempre molto attenti a tutte le questioni citate sopra, specialmente dobbiamo prestare massima attenzione al tacito rinnovo, che se non considerato, potrebbe creare diversi grattacapi.
Se non è presente il tacito rinnovo, non abbiamo bisogno di inviare niente, in quanto avverrà il tutto in forma automatica.
Se invece la proposta di rinnovo che abbiamo ricevuto dalla compagnia assicurativa ha un aumento percentuale del premio superiore al tasso di inflazione programmato, non dobbiamo inviare la disdetta 15 giorni prima, ma anche l’ultimo giorno in cui è valida la polizza assicurativa.
Tutte le compagnie assicurative sono tenute ad inviare al cliente l’attestato originale di rischio 30 giorni prima della scadenza della polizza, in modo da permetterci di cambiare compagnia assicurativa con facilità, inoltre il
tacito rinnovo deve contenere i seguenti dati: la denominazione dell’impresa assicuratrice, la firma dell’assicuratore, il nome del contraente, il numero della polizza, la formula tariffaria, la data di scadenza della polizza. E’ quindi molto “facile” cambiare compagnia assicurativa, ma dobbiamo stare sempre molto attenti a tutte le questioni citate sopra, specialmente dobbiamo prestare massima attenzione al tacito rinnovo, che se non considerato, potrebbe creare diversi grattacapi.
Curiositá assicurative
1. L'assicurazione comprende nel risarcimento anche l'IVA versata per le riparazioni del veicolo danneggiato?
Se il veicolo è intestato ad una persona fisica per uso personale, il risarcimento comprende anche l'IVA. Se invece il veicolo è intestato ad una ditta o società per uso professionale, ciò non avviene dal momento che l'IVA può venir "scaricata" successivamente.
2. Il risarcimento del danno deve essere pari al costo delle riparazioni necessarie per riparare il veicolo danneggiato anche quando supera il suo valore commerciale (cd. riparazioni antieconomiche)?
Pur essendoci alcune sentenze della Corte di Cassazione in senso contrario, solitamente, in caso di riparazioni antieconomiche di un veicolo danneggiato, la liquidazione del risarcimento va effettuata tenendo conto del valore di mercato della vettura, aumentato delle spese di demolizione del relitto e di immatricolazione di una vettura nuova, detratto il valore presumibile del relitto medesimo.
3. Il risarcimento del danno comprende il deprezzamento commerciale della vettura incidentata?
Il veicolo coinvolto in un incidente di una certa gravità, anche se riparato a regola d'arte, non è commercialmente equiparabile ad un veicolo mai incidentato. Secondo la Cassazione addirittura ci sarebbe una presunzione di deprezzamento, salva la prova contraria. In ogni caso, nella valutazione di tale danno rivestono importanza il valore antesinistro dell'auto, la sua vetustà, la natura e l'entità delle riparazioni effettuate.
4. E' risarcibile il mancato uso dell'autovettura durante la sosta forzata per la sua riparazione?
Sì, è il cd. danno da fermo tecnico ed è solitamente risarcito conteggiando i giorni lavorativi occorsi per rimettere in buono stato il veicolo. Può comprendere in alcuni casi anche le spese per il noleggio di una vettura sostitutiva.
Dovrebbe essere già dentro (di Marco Travaglio)
A Ruby B. ha promesso cinque milioni per «fare la pazza». A Tarantini e Lavitola ha dato centinaia di migliaia di euro per tacere. In qualsiasi altro Paese, lo avrebbero già arrestato per inquinamento delle prove.
Questo Berlusconi è proprio un ingrato. A gennaio si scopre che ha promesso a Ruby 5 milioni e ha avviato i versamenti affinché la ragazza "faccia la pazza" e si renda inaffidabile dinanzi ai magistrati.
Ci sono tutti i presupposti per un mandato di cattura con richiesta alla Camera di autorizzazione al suo arresto. Poi emergono strani traffici di avvocati, anche del premier, per "preparare" la ragazza alla testimonianza. Poi salta fuori che la Guardia di Finanza ha arrestato il compagno di Marystelle Polanco perché sull'auto prestata alla ragazza dalla Minetti c'erano 12 chili di cocaina, e "Lui" ha suggerito a Nicole di denunciare falsamente il furto dell'auto. Insomma, un inquinamento probatorio dopo l'altro, col contorno di bonifici e contanti a decine di altre Papi Girls che presto saranno chiamate a testimoniare sui bungabunga di Arcore.
Generosamente, la Procura di Milano lo lascia a piede libero, risparmiandogli un trattamento che sarebbe normale, pressoché automatico, per qualsiasi altro indagato di prostituzione minorile e concussione ai danni di una Questura. Ed evita persino di ipotizzare la corruzione giudiziaria dei testimoni. Lui, anziché ringraziare, ringhia contro le solite toghe rosse eversive e golpiste. Ora viene fuori che pagava
pure Gianpi Tarantini e Valter Lavitola, suggerendo al secondo di restarsene all'estero per sfuggire all'imminente mandato di cattura e brigando perché il primo si facesse assistere dal suo stesso avvocato. I due, a differenza delle Olgettine, non sono testimoni: sono indagati per estorsione ai suoi danni. In qualunque altro Paese, se paghi un imputato perché al processo menta a tuo favore, per giunta nominandogli un avvocato di fiducia (tua, non sua), si chiama "ostruzione alla giustizia", con arresto immediato. Tuo e dell'avvocato. In Italia, invece, non è reato: diversamente da David Mills, testimone nei processi All
Iberian e Guardia di Finanza, pagato con 600 mila euro perché - lo scrisse lui stesso al suo commercialista - "salvasse Mr B. da un mare di guai" giurando il falso, dunque colpevole di corruzione giudiziaria, gli indagati Lavitola e Tarantini hanno il diritto di mentire. Dunque pagarli, sotto costrizione o meno, perché mentano non è reato, ma un semplice cadeau di riconoscenza. Negli Stati Uniti l'indagato e l'imputato possono avvalersi del diritto di tacere soltanto su fatti che li riguardano, perché nessuno
può essere costretto ad autoaccusarmi. Sui fatti altrui, invece, hanno l'obbligo di rispondere. In ogni caso, se e quando rispondono, hanno l'obbligo di dire la verità. Un obbligo così cogente che, se l'avvocato sa che il suo cliente mente al giudice, e avalla le sue menzogne, ne risponde penalmente anche lui.
La giustizia è una cosa talmente seria che nessuno può permettersi di oltraggiarla e depistarla impunemente. In Italia invece il diritto al silenzio per l'indagato/imputato non è riservato ai fatti suoi, ma si estende a quelli altri. Non solo: se uno mente rispondendo sui fatti propri e persino su quelli altrui, non commette alcun reato. Anzi, esercita un diritto di difesa. E così il suo avvocato che lo aiuta a mentire. E così il suo eventuale complice che lo paga per non essere tirato in ballo. Del resto, in Italia, anche darsi alla latitanza è considerato un diritto. Dunque, a maggior ragione, istigare qualcuno alla latitanza. Per questo, suggerendo a Lavitola di restarsene all'estero, Berlusconi non ha commesso favoreggiamento, anche se sapeva - come lo sapeva "Panorama" (roba sua) - che la Procura di Napoli aveva scoperto le triangolazioni finanziarie Berlusconi-Tarantini-Lavitola. E nemmeno pagando Tarantini affinché - come sostiene l'accusa, corroborata da intercettazioni - patteggiasse la pena per evitare il processo e dunque la pubblicazione di intercettazioni imbarazzanti (per il premier) e non rivelasse che il sedicente "utilizzatore finale" di prostitute era in realtà complice del traffico. Se mentire, per l'indagato, non è reato, non lo è nemmeno istigarlo a farlo. Insomma Berlusconi dovrebbe ringraziare il Cielo di essere nato in Italia: in un altro Paese, un inquinatore di prove incallito come lui sarebbe al fresco da un pezzo. Invece si lamenta pure e minaccia di "andarmene per i cazzi miei" lontano da "questo Paese di merda". Core 'ngrato.
Questo Berlusconi è proprio un ingrato. A gennaio si scopre che ha promesso a Ruby 5 milioni e ha avviato i versamenti affinché la ragazza "faccia la pazza" e si renda inaffidabile dinanzi ai magistrati.
Ci sono tutti i presupposti per un mandato di cattura con richiesta alla Camera di autorizzazione al suo arresto. Poi emergono strani traffici di avvocati, anche del premier, per "preparare" la ragazza alla testimonianza. Poi salta fuori che la Guardia di Finanza ha arrestato il compagno di Marystelle Polanco perché sull'auto prestata alla ragazza dalla Minetti c'erano 12 chili di cocaina, e "Lui" ha suggerito a Nicole di denunciare falsamente il furto dell'auto. Insomma, un inquinamento probatorio dopo l'altro, col contorno di bonifici e contanti a decine di altre Papi Girls che presto saranno chiamate a testimoniare sui bungabunga di Arcore.
Generosamente, la Procura di Milano lo lascia a piede libero, risparmiandogli un trattamento che sarebbe normale, pressoché automatico, per qualsiasi altro indagato di prostituzione minorile e concussione ai danni di una Questura. Ed evita persino di ipotizzare la corruzione giudiziaria dei testimoni. Lui, anziché ringraziare, ringhia contro le solite toghe rosse eversive e golpiste. Ora viene fuori che pagava
pure Gianpi Tarantini e Valter Lavitola, suggerendo al secondo di restarsene all'estero per sfuggire all'imminente mandato di cattura e brigando perché il primo si facesse assistere dal suo stesso avvocato. I due, a differenza delle Olgettine, non sono testimoni: sono indagati per estorsione ai suoi danni. In qualunque altro Paese, se paghi un imputato perché al processo menta a tuo favore, per giunta nominandogli un avvocato di fiducia (tua, non sua), si chiama "ostruzione alla giustizia", con arresto immediato. Tuo e dell'avvocato. In Italia, invece, non è reato: diversamente da David Mills, testimone nei processi All
Iberian e Guardia di Finanza, pagato con 600 mila euro perché - lo scrisse lui stesso al suo commercialista - "salvasse Mr B. da un mare di guai" giurando il falso, dunque colpevole di corruzione giudiziaria, gli indagati Lavitola e Tarantini hanno il diritto di mentire. Dunque pagarli, sotto costrizione o meno, perché mentano non è reato, ma un semplice cadeau di riconoscenza. Negli Stati Uniti l'indagato e l'imputato possono avvalersi del diritto di tacere soltanto su fatti che li riguardano, perché nessuno
può essere costretto ad autoaccusarmi. Sui fatti altrui, invece, hanno l'obbligo di rispondere. In ogni caso, se e quando rispondono, hanno l'obbligo di dire la verità. Un obbligo così cogente che, se l'avvocato sa che il suo cliente mente al giudice, e avalla le sue menzogne, ne risponde penalmente anche lui.
La giustizia è una cosa talmente seria che nessuno può permettersi di oltraggiarla e depistarla impunemente. In Italia invece il diritto al silenzio per l'indagato/imputato non è riservato ai fatti suoi, ma si estende a quelli altri. Non solo: se uno mente rispondendo sui fatti propri e persino su quelli altrui, non commette alcun reato. Anzi, esercita un diritto di difesa. E così il suo avvocato che lo aiuta a mentire. E così il suo eventuale complice che lo paga per non essere tirato in ballo. Del resto, in Italia, anche darsi alla latitanza è considerato un diritto. Dunque, a maggior ragione, istigare qualcuno alla latitanza. Per questo, suggerendo a Lavitola di restarsene all'estero, Berlusconi non ha commesso favoreggiamento, anche se sapeva - come lo sapeva "Panorama" (roba sua) - che la Procura di Napoli aveva scoperto le triangolazioni finanziarie Berlusconi-Tarantini-Lavitola. E nemmeno pagando Tarantini affinché - come sostiene l'accusa, corroborata da intercettazioni - patteggiasse la pena per evitare il processo e dunque la pubblicazione di intercettazioni imbarazzanti (per il premier) e non rivelasse che il sedicente "utilizzatore finale" di prostitute era in realtà complice del traffico. Se mentire, per l'indagato, non è reato, non lo è nemmeno istigarlo a farlo. Insomma Berlusconi dovrebbe ringraziare il Cielo di essere nato in Italia: in un altro Paese, un inquinatore di prove incallito come lui sarebbe al fresco da un pezzo. Invece si lamenta pure e minaccia di "andarmene per i cazzi miei" lontano da "questo Paese di merda". Core 'ngrato.
Basta col Generale De Filippi
B. ha fatto eleggere, nel suo partito personale, la schiera di suoi avvocati e molti dei suoi complici o subalterni garantendosi uno zoccolo duro che gli ha permesso di dominare per 18 anni.
Al resto ci hanno pensato le sue televisioni, le varie D’Urso, Zanicchi, De Filippi, Marcuzzi, che hanno inciso con l’oppio della televisione molto più di Emilio e di tutti i direttori dei suoi telegiornali di regime.
Ho sempre considerato la De Filippi la vera corazzata dei berlusconiani inconsapevoli, a induzione, risucchiati dal vortice della stupidità sino al coinvolgimento inconsapevole ed esagerato grazie all’azzeramento totale della cultura, di un minimo di riflessione.
Non per niente le truppe all’esterno del Tribunale di Milano erano sempre le sue e, se consideriamo che la maggioranza erano donne anche se stagionate, se ne ricava che lo spirito critico ed il rispetto per la donna è stato azzerato del tutto da uomini e donne, c’è posta per te ed il ballo dell’ultimo miglio. Alludo a quella pagliacciata di pensionati over 70, ed oltre, che giocano a fare i galletti con tanto di fiore alla giacca e scenate di gelosia.
Un doloroso esempio di come ci si possa ridurre andando avanti negli anni, dovrò dire a mio figlio che se mi vedesse ridotto in quelle condizioni di chiedere il mio ricovero per incapacità di intendere e di volere.
Tutte le elezioni dal 1992 ad oggi si sono risolte con una differenza di voti, tra uno schieramento e l’altro, inferiore ai due milioni e le corazzate dell’oppio guidate dal generale De Filippi ne coinvolgono molti di più.
Al resto ci hanno pensato le sue televisioni, le varie D’Urso, Zanicchi, De Filippi, Marcuzzi, che hanno inciso con l’oppio della televisione molto più di Emilio e di tutti i direttori dei suoi telegiornali di regime.
Ho sempre considerato la De Filippi la vera corazzata dei berlusconiani inconsapevoli, a induzione, risucchiati dal vortice della stupidità sino al coinvolgimento inconsapevole ed esagerato grazie all’azzeramento totale della cultura, di un minimo di riflessione.
Non per niente le truppe all’esterno del Tribunale di Milano erano sempre le sue e, se consideriamo che la maggioranza erano donne anche se stagionate, se ne ricava che lo spirito critico ed il rispetto per la donna è stato azzerato del tutto da uomini e donne, c’è posta per te ed il ballo dell’ultimo miglio. Alludo a quella pagliacciata di pensionati over 70, ed oltre, che giocano a fare i galletti con tanto di fiore alla giacca e scenate di gelosia.
Un doloroso esempio di come ci si possa ridurre andando avanti negli anni, dovrò dire a mio figlio che se mi vedesse ridotto in quelle condizioni di chiedere il mio ricovero per incapacità di intendere e di volere.
Tutte le elezioni dal 1992 ad oggi si sono risolte con una differenza di voti, tra uno schieramento e l’altro, inferiore ai due milioni e le corazzate dell’oppio guidate dal generale De Filippi ne coinvolgono molti di più.
I dissesti? Tutta colpa nostra!!!
I disastri causati dalle alluvioni sono colpa degli uomini, non dei mutamenti climatici. Perché prima si costruisce senza criterio e poi non si ha la capacità di affrontare le emergenze.
Si dice che le alluvioni sono "sciagure naturali" dovute al mutamento climatico e alle forze che dominano l'uomo. E' uno dei modi per non assumerci le nostre responsabilità. Mentiamo anche con la natura, fingiamo che le colpe siano sempre tutte sue. Non è così: la presenza degli uomini è decisiva, nei paesi desertici le alluvioni possono fare ciò che vogliono ma non danneggiano nessuno, nelle zone umanizzate sono disastrose. Qual è stata nella recente alluvione di Genova la responsabilità maggiore dei danni? I comportamenti abituali degli uomini in tema di alluvioni. Prima le prepariamo costruendo nelle zone in cui dovrebbero esondare le acque di piena, poi aggraviamo il disastro continuando a vivere nel corso delle alluvioni come se non ci fossero: bambini a scuola, automobili nelle strade, cittadini lenti a rifugiarsi anche sulle alture. Sicché vista dall'alto, vista da un terrazzo, la piena di un fiume appare come una corsa pazza di persone che non sanno cosa fare, dove andare, come ripararsi.
Un altro fatto importante nelle alluvioni dipende dalla "civiltà idrica" degli uomini: ci sono regioni in cui sono avvenute alluvioni disastrose, come il Friuli e il Biellese, in cui spontaneamente, per tradizioni storiche, gli abitanti del posto hanno immediatamente iniziato la ricostruzione e nel giro di poche settimane hanno rimesso le strutture del paese in condizioni di funzionare. A seguito di altre catastrofi nei paesi arretrati del Sud, come in Irpinia o nel Belice, le conseguenze e i danni si sono protratti per anni. In alcune zone d'Italia progredite gli uomini e le loro organizzazioni reagiscono immediatamente, mentre in altre comincia la lagna dei soccorsi dello Stato che non arrivano. Il dramma di questo Paese è di avere queste contraddizioni che non possono essere guarite dall'intervento del governo, ma sono connaturate alla storia delle popolazioni.
Si dice che le alluvioni sono "sciagure naturali" dovute al mutamento climatico e alle forze che dominano l'uomo. E' uno dei modi per non assumerci le nostre responsabilità. Mentiamo anche con la natura, fingiamo che le colpe siano sempre tutte sue. Non è così: la presenza degli uomini è decisiva, nei paesi desertici le alluvioni possono fare ciò che vogliono ma non danneggiano nessuno, nelle zone umanizzate sono disastrose. Qual è stata nella recente alluvione di Genova la responsabilità maggiore dei danni? I comportamenti abituali degli uomini in tema di alluvioni. Prima le prepariamo costruendo nelle zone in cui dovrebbero esondare le acque di piena, poi aggraviamo il disastro continuando a vivere nel corso delle alluvioni come se non ci fossero: bambini a scuola, automobili nelle strade, cittadini lenti a rifugiarsi anche sulle alture. Sicché vista dall'alto, vista da un terrazzo, la piena di un fiume appare come una corsa pazza di persone che non sanno cosa fare, dove andare, come ripararsi.
Un altro fatto importante nelle alluvioni dipende dalla "civiltà idrica" degli uomini: ci sono regioni in cui sono avvenute alluvioni disastrose, come il Friuli e il Biellese, in cui spontaneamente, per tradizioni storiche, gli abitanti del posto hanno immediatamente iniziato la ricostruzione e nel giro di poche settimane hanno rimesso le strutture del paese in condizioni di funzionare. A seguito di altre catastrofi nei paesi arretrati del Sud, come in Irpinia o nel Belice, le conseguenze e i danni si sono protratti per anni. In alcune zone d'Italia progredite gli uomini e le loro organizzazioni reagiscono immediatamente, mentre in altre comincia la lagna dei soccorsi dello Stato che non arrivano. Il dramma di questo Paese è di avere queste contraddizioni che non possono essere guarite dall'intervento del governo, ma sono connaturate alla storia delle popolazioni.
Sta tornando Robespierre???
Cari politici italiani, quali privilegi difendete, con questi discorsi contorti ed involuti?? Non avete capito che la pacchia è finita?? Che tra poco tornerà Robespierre?? Che i parassiti verranno presi coi forconi??
domenica 18 dicembre 2011
Charlie Chaplin - Discorso all umanità - Il grande dittatore
Charlie Chaplin - Discorso all umanità - Il grande dittatore
Se solo meditassimo in silenzio su queste parole...
http://www.youtube.com/watch?v=KbidLa2JbVA
La bambina che zittì il Mondo per 6 minuti (Nazioni Unite 1992)
La bambina che zittì il Mondo per 6 minuti (Nazioni Unite 1992)
http://www.youtube.com/watch?v=NStyRt19flA&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=NStyRt19flA&feature=related
sabato 17 dicembre 2011
italiano
L'italiano non si fida di nessuno e prima di tutto di sé stesso. Quando qualcuno lo inganna è soddisfatto, ha l'ennesima conferma delle sue intuizioni.
Tracciabilitá dei pagamenti per tutelarsi dai controlli del fisco
Tracciabilitá dei pagamenti per tutelarsi dai controlli del fisco.
Dimostrare aiuta a non pagare!!!
17-12-2011
Gli evasori fiscali sono sempre in agguato e il fisco, per ridurre l’evasione, ha obbligato i contribuenti all’acquisizione telematica dei dati relativi alle spese personali oltre una soglia minima (ora é di 1000 euro) così da conoscere le spese e compararle con le dichiarazioni fiscali prodotte. Una manovra che diminuisce il flusso del contante che alimenta l’economia sommersa ed incentiva la diffusione di strumenti di pagamento che consentano al tracciabilità, come le carte di credito o i pagamenti online. E se non si è in grado di dimostrare le spese si va incontro a dei piani sanzionatori.
Cosa sapere per non adottare comportamenti che alla fine potrebbero rivelarsi dannosi?
1. Il contribuente: chi si appresta a fare delle spese deve abituarsi, quando è possibile, a pagarle con mezzi di pagamento tracciabili e direttamente riconducibili. Vanno quindi eliminati alcuni comportamenti che generano spese non documentate o che non possono essere documentate in futuro. E’ preferibile pagare con la moneta elettronica, come le carte di credito, i bancomat o gli assegni cartacei. Ad esempio: se un genitore o un amico decide di fare un regalo che comporta una spesa importante, ad esempio una autovettura, può sussistere il caso che in futuro l’acquirente non sia in grado di dimostrare a distanza di tempo chi ha sostenuto quella spesa. Ecco perché è buona norma pagare sempre con documenti tracciabili.
2. I rapporti di convivenza: il Fisco può chiedere di dimostrare se un familiare ha pagato una certa cifra a favore di un altro componente della famiglia. Bisogna essere quindi in grado di dimostrare l’esborso anche a distanza di anni. E’ il caso, ad esempio, di un papà che paga le bollette al figlio: in questo caso, anche a distanza di tempo, le spese devono essere dimostrabili ed è quindi importante che vengano pagate tramite pagamenti tracciabili, ad esempio tramite i Rid, domiciliazioni di bollette o bonifici).
3. Il terzo: se una terza persona sostiene una spesa a favore di un’altra, per esempio fa un regalo, è bene che ci sia tracciabilità non solo sul piano finanziario ma anche del legame che corre tra chi finanzia la spesa e l’oggetto della stessa. Ad esempio, se il papà regala la casa al figlio, è necessario che il genitore sia presente nell’atto del rogito con cui il figlio acquista la casa perché è necessario poter ricollegare la spesa alla fonte reddituale che l’ha sopportata.
La vera storia di Internet
Internet è già roba da museo
Inaugurato a Los Angeles il primo spazio dedicato alla storia della grande Rete.
Nata 42 anni fa, un sabato, alle 22,30: «Quando», racconta il professor Leonard Kleinrock, «scrissi con il mio mega computer la lettera 'l' e al telefono mi risposero che era arrivata».
Il 29 ottobre di quarantadue anni fa era un sabato. E alle 22,30, ora di Los Angeles, il professor Leonard Kleinrock, insieme a un assistente, tenta il primo collegamento fra un computer della Boelter Hall dell'Università della California Los Angeles (Ucla) ed uno dell'Istituto di ricerca di Stanford. I nodi sono solamente due, ma promettono di crescere: la novità è che i rispettivi minicomputer sono collegati a una nuova macchina, battezzata Imp, che svolge il lavoro di smistare pacchetti di dati a un numero potenzialmente infinito di altri utenti. «Nel frattempo ci parlavamo per telefono», racconta oggi Kleinrock. «Io dovevo scrivere 'login'. Scrissi la lettera elle.
'Ricevuta', mi dissero. Poi la o. "Ricevuta". Quando digitai la terza lettera, il sistema andò in crash». Un primo fallimento sì. Ma quel sabato infatti nasceva Arpanet. Quella che poi si sarebbe chiamata Internet. Il futuro era arrivato. Oggi per festeggiare quel passato, neppure poi così lontano, è stato inaugurato al numero 420 di Westwood Plaza di Los Angeles il Kleinrock Internet Heritage Site and Archive (KIHSA), il museo dedicato alla storia del web. Lo spazio è intitolato a Leonard Kleinrock, il professore di Ucla che spedì il messaggio a Bill Duval di Stanford. Nel museo, che avrà anche il compito di archivio storico di Internet, saranno in esposizione i documenti originali e i macchinari che servirono per spedire i primi messaggi e sviluppare il complesso (teorico e pratico) che sta alla base del World Wide Web. Strumentazioni che oggi sembrano appartenere alla preistoria, ma dai quali invece ci separano solo una quarantina d'anni. «No, lo ammetto, non avrei mai potuto immaginare che Arpanet sarebbe andata così lontano», spiega il settantacinquenne professore dell'Ucla. «A quei tempi, nessuno pensava al computer come a uno strumento di comunicazione. Il pc, come lo intendiamo oggi non esisteva, i computer erano grandi e costosi. L'e-mail sarebbe arrivata solo due anni dopo, diventando subito l'applicazione più usata sulla rete». E se gli si chiede del futuro, prossimo, lui che ha messo le basi per crearne già uno, in nostro: «Un giorno non lontano, la maggior parte del traffico internet non sarà fatto dagli esseri umani, ma dalle macchine. Le capacità di calcolo e di comunicazione stanno dilagando: sensori, attuatori, memorie, display, microfoni.
Tutto quanto ci circonda sarà collegato in rete, per dare informazioni e servizi sulla realtà circostante. Potremo controllare a distanza la crescita delle piante, la popolazione ittica di un fiume. Un sistema cooperativo di strumenti che radunano le informazioni e ordinano ad altri strumenti di mantenere l'equilibrio. Tutto questo è già alla portata della nostra tecnologia. E sta accadendo». Intanto non resta che aspettare un altro compleanno, il prossimo 13 novembre: quello del World Wide Web, meglio conosciuto come WWW, che compie 20 anni.
Nato infatti nel 1991 da un progetto del CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) di Ginevra, oltre ai dati testuali, ha reso possibile la trasmissione su Internet anche di immagini, video, suoni e multimedia in generale. Creando quel mondo virtuale, così come lo intendiamo noi oggi. I nostri auguri ad entrambi allora. E non resta che dare una sbirciata (sempre che non si riesca a fare un salto di persona a Los Angeles) alle foto in bianco e nero e a quei vecchi macchinari, pensando che sia un po' come guardare un vecchio album di famiglia. Perché Internet è un po' la storia di tutti noi!!!
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