Io so i nome dei responsabili, e so i fatti di cui si sono macchiati. Ma non ho le prove. Però la ricostruzione della verità non è poi così difficile. E a chi compete fare questi nomi e raccontare questi fatti? A chi ha il coraggio, non è compromesso col potere e non ha niente da perdere. Perchè, come diceva Sant'Agostino: "la speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio; lo sdegno per le cose come sono, e il coraggio per cambiarle".
domenica 29 gennaio 2012
Viaggio nel campo di Auschwitz-Birkenau
da Il Fatto Quotidiano
Con i giovani per ridare dignità al ricordo
Insieme all'associazione "Terra del fuoco", abbiamo accompagnato un gruppo dei 3200 ragazzi che hanno visitato il ghetto di Cracovia e il campo di concentramento polacco.
Si parte dal blocco 5 dove ognuno prende una foto di un prigioniero che lo accompagnerà lungo tutto il tragitto fino al death block.
Ad Auschwitz sono stati uccise circa 1 milione e 300mila persone. Un milione e 100mila erano ebrei. Gli altri prigionieri sovietici, omosessuali, rom,
zingari, sinti, avversari politici, malati e criminali comuni. Insieme all’associazione “Terra del fuoco”, abbiamo accompagnato un gruppo dei 3200 ragazzi che hanno visitato il ghetto di Cracovia e il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz – Birkenau con i quattro “treni della memoria” partiti dall’Italia in occasione del 27 gennaio 2011, Giornata internazionale della memoria. “Uno dei favori più grandi che si potrebbe fare al nazismo è proprio cadere nell’ottica dei grandi numeri”, spiega Oliviero Alotto, presidente 28enne di “Terra del fuoco”. “Noi non potremmo mai ridare la vita a un milione di persone ma possiamo tentare di ridare loro un po’ di dignità. Si tratta proprio della prima cosa che i nazisti toglievano alla loro vittime, con la rasatura dei capelli, la tuta a righe, la sottrazione di ogni oggetto e diritto, la riduzione a un numero tatuato sul corpo”. Per questo la visita dei ragazzi all’enorme campo di Auschwitz inizia dal blocco numero 5, dove appese al muro ci sono centinaia di foto di prigionieri con sotto la data del loro arrivo al campo e della loro morte. Un arco temporale in media di tre mesi. Ad ogni ragazzo e ragazza viene chiesto di scegliere un prigioniero, di guardarne la foto e di annotarne il nome su un pezzetto di carta. Gli educatori dell’associazione invitano a vivere il resto della visita con gli occhi della persona scelta, di ricordarne il nome, di immaginarne il viso negli angoli innevati del campo.
Ecco allora che ognuno immagina l’uomo o la donna della fotografia negli enormi capannoni di legno adibiti
a dormitori, nelle latrine comuni senza scarico fognario, nelle piazze delle adunate che duravano anche 12 ore. E nei campi di lavoro. Per arrivare, alla fine, alle camere a gas e ai forni crematori. La visita è accompagnata da alcune letture di Primo Levi. Un passo sulla forca dove venivano giustiziati ed esibiti come monito i prigionieri “indisciplinati”, uno sul freddo che avvolgeva il campo senza tregua, uno sul senso delle parole, uno infine sul muro della morte. Fa freddo, la temperatura è di molto sotto lo zero,
la strada è gelata e ricoperta di neve. Ma come diceva Levi, per capire veramente il freddo bisogna averlo
provato davvero, e lui l’ha fatto dal 22 febbraio 1944 al 27 gennaio 1945. Nei primi capannoni c’è quello che
resta degli oggetti di cui venivano spogliati i prigionieri destinati alle camere a gas: una montagna di
occhiali da vista, una di pennelli da barba e spazzole, un’altra di protesi. Da lì si passa al blocco 11, il “death block”. È qui che i nazisti facevano gli esperimenti sul gas “Zyklon B”, il gas che verrà poi usato nelle camere di sterminio e in grado di uccidere una persone in massimo dieci minuti, quindici per i più resistenti. Ovviamente gli esperimenti venivano fatti sui prigionieri.
Scendendo nei sotterranei troviamo le celle di rigore, grandi circa 5 metri quadrati dove venivano rinchiusi
per giorni e giorni i prigionieri che si erano macchiati di qualche reato, come ad esempio la tentata evasione. È qui che è morto padre Massimiliano Maria Kolbe, il frate francescano polacco che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia nel bunker della fame. Mori il 14 agosto 1941. Dopo un paio d’ore si arriva nella più estesa Birkenau, un’enorme distesa con 300 baracche in legno che poteva ospitare oltre 100mila prigionieri alla volta. Qui il treno arriva direttamente nel centro del campo, dove i deportati venivano fatti scendere e divisi per categorie e stato di salute. Chi era giudicato “non abile al lavoro” veniva mandato subito nella camere a gas. Con i ragazzi attraversiamo le quattro parti del campo: le due più grandi sono destinate agli uomini da una parte e alle donne dall’altra. Poi c’è il settore dei malati messi in quarantena e infine un angolo destinato agli zingari. C’è anche il cosiddetto “Canada”, l’angolo del campo privato delle SS, dove alcol e prostitute per i gerarchi non mancavano mai. Qualche ragazzo non ce la fa più, non se la sente più di entrare nei blocchi, di vedere i letti a cassettoni, le latrine, le pareti graffiate, il filo spinato ovunque. Il campo è enorme, innevato, paradossalmente candido.
Ma la foto dell’uomo o della donna conosciuto all’inizio della visita è sempre lì, davanti gli occhi, non esce
più dalla mente. “In Italia c’è una grande cultura sulla resistenza e la deportazione, il passaggio adesso più
importante è passare dalla conoscenza alla comprensione che tutto questo sia successo davvero”, spiega Oliviero Alotto. Non parla più nessuno. In un vortice di sofferenza ci avviciniamo alle camere a gas, in fondo al campo di Birkenau. Alcune costruzioni sono crollate, ma non tutte. Entriamo nella più vicina, ben conservata, di mattoni scuri, dentro fa meno freddo. Una scritta invita al silenzio “in onore di chi qui ha ha perso la vita”. Le stanze del gas sono enormi, grigie, scure. Sul soffitto ci sono i bocchettoni dai quali usciva il gas. Adesso sono chiusi. Qualcuno preferisce uscire. Attraverso una stretta porta si arriva alle stanze dei forni. Sono grandi strutture, anch’esse di mattoni con gli sportelloni in ferro. Dei binari in acciaio aiutavano a buttarci i corpi dei cadaveri. Ad azionarli, ci spiegano, erano dei prigionieri ebrei, non i tedeschi. Uomini
costretti a buttare nelle fiamme i propri fratelli. Usciamo, fa freddo, ma si torna a respirare. Passiamo davanti al monumento della memoria di tutte le vittime dei fascismi dove si sta allestendo la cerimonia ufficiale di commemorazione. Qui apprendiamo che è venuto a mancare Kazimierz Smolen, sopravvissuto polacco del campo e anziano ex direttore del museo di Auschwitz. Smolen era tra i 7000 prigionieri che le truppe sovietiche trovarono ancora nel campo quando lo liberarono il 27 gennaio 1945. Numero di matricola 1327. La visita si conclude alla cosiddetta “sauna”, l’ingresso posteriore del campo dove i deportati, una volta scesi dal treno, venivano spogliati, privati di tutti i loro averi (che venivano appunto sterilizzati nella “sauna”) e rasati. In fondo due muri ricoperti di fotografie, ma molto diverse da quelle della mattina. Ritraggono scene di vita quotidiana di donne, uomini, anziani e bambini. Sono felici, liberi, ridono. Sono le fotografie trovate nelle valigie dei deportati, prima che diventassero dei numeri, prima di perdere tutto. Qui alcuni attori teatrali dell’associazione “Terra del fuoco” imbastiscono uno spettacolo per parlare della vita del campo, della quotidiana e folle disperazione dei prigionieri di Auschwitz. “È difficile, ma il nostro vuole essere un percorso educativo, vogliamo contribuire a costruire un cittadino più responsabile del domani”, spiega Alotto. “Da domani passiamo dalla memoria all’impegno per evitare il crearsi di quella che viene chiamata la “zona grigia” e di cui Primo Levi ha così bene tratteggiato i contorni nel libro ‘I sommersi e i salvati’. Al tempo del nazismo non c’erano solo vittime e carnefici, ma un substrato di un certo tipo di cultura che ha reso possibile le atrocità di Auschwitz e il diffondersi del virus del nazifascimo”.
“Per questo proponiamo ai ragazzi di trasformare il pugno nello stomaco che provoca la visita ad un campo di sterminio in coscienza civica perché non capiti più”.
domenica 22 gennaio 2012
Liberalizzazioni sul risarcimento diretto - Assicurazioni
Sulle assicurazioni il dl liberalizzazioni: a) sopprime il secondo periodo dell'art. 149 del codice delle assicurazioni private, eliminando la procedura del risarcimento diretto del danno subito dal conducente non responsabile; b) modifica talune disposizioni del codice delle assicurazioni private, introducendo il criterio dell'efficienza produttiva e del controllo dei costi nel sistema di risarcimento diretto; c) riduce del 30% l'ammontare del risarcimento per equivalente, qualora questo sia accompagnato da idonea garanzia, in relazione alle riparazioni eseguite, fatte di validita' non inferiore a due anni. Sulla repressione delle frodi la disposizione introduce l'obbligo, a carico delle imprese assicuratrici autorizzate ad esercitare il ramo responsabilita' civile, a trasmettere a cadenza annuale una relazione all'ISVAP, recante informazioni dettagliate sul numero dei sinistri per i quali si e' ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio di frodi, oltre ad altre informazioni che pongano l'organo di controllo in grado di valutare l'adeguatezza dell'organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri nell'ottica di contrasto alle frodi. Ispezioni del veicolo, scatola nera, attestato di rischio, liquidazione dei danni. Mediante modifiche agli articoli 132, 134 e 148 del codice delle assicurazioni private, il complesso delle disposizioni recate dall'articolo tende a rendere piu' rigido il sistema di accertamento e liquidazione dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, nella prospettiva, altresi', di potenziare il sistema dei controlli antifrode e di ridurre, in generale, l'entita' della spesa nel relativo settore.
Sanzioni per frodi nell'attestazione delle invalidita' derivanti da incidenti. L'articolo interviene sulla materia delle false certificazioni relative agli stati di invalidita' conseguenti ad incidenti stradali, da cui derivi l'obbligo del risarcimento del danno a carico delle societa' assicuratrici, disponendo che agli esercenti una professione sanitaria, che accertino falsamente un'invalidita', si applicano, oltre che le pene previste al comma 1 dell'art. 55-quinquies, del d.lgs. 30 marzo 2001, n, 165, anche le sanzioni disciplinari di cui al comma 3 dello stesso articolo. Le disposizioni sono estese ai periti assicurativi, in presenza delle medesime fattispecie.
Obbligo di confronto delle tariffe r.c. Auto. L'articolo vieta alle compagnie assicurative la distribuzione dei prodotti o servizi ai clienti finali, disponendo, nel contempo, che i distributori offrano ai clienti prodotti e servizi assicurativi di piu' compagnie. Previste sanzioni per le compagnie assicurative che limitano, di fatto o con previsioni contrattuali, la liberta' dell'agente nell'offrire servizi e prodotti ritenuti piu' adeguati. (AGI)
sabato 21 gennaio 2012
Geniale e incredibile: Groupon
Dopo Groupon, la valanga
di Alessandro Longo
Il fenomeno degli acquisti di gruppo on line è solo all'inizio. Perché mescola
la forza dei network sociali con la potenza della geolocalizzazione.
E' un ragazzotto di 29 anni di Pittsburgh l'inventore del modello di business che sta rivoluzionando il mondo del commercio e della pubblicità: Andrew Mason. Ora
telelavora da un paesino ucraino dove vive con la futura sposa. La sua azienda, Groupon, ha già ricevuto più di un miliardo di dollari in finanziamenti privati. La rivista "Fast Company" l'ha messa al quinto posto tra le aziende più innovative del 2011, in una classifica dominata da Apple e dove Google è solo sesta. "La formula di Groupon, ora imitata da 500 aziende nel mondo, anche italiane, è
rivoluzionaria perché mescola il commercio elettronico con quello tradizionale, legato al territorio", spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio del commercio elettronico italiano. Infatti l'utente si iscrive (gratis) a un sito dopodiché deve indicare la propria città: è così che comincia a ricevere, via Internet, promozioni ad hoc, provenienti da esercenti locali che aderiscono all'iniziativa. Le offerte durano per un tempo limitato e valgono solo se viene raggiunto un numero
sufficiente di acquirenti. Grazie alla formula dei gruppi di acquisto i siti di social commerce promettono uno sconto fino al 70 per cento rispetto ai normali prezzi di listino. Dov'è il business? Gli esercenti girano a Groupon una royalty sugli acquisti, di
solito il 50 per cento. "In sostanza fanno una scelta che ribalta il modello
promozionale tipico", spiega Liscia. "Invece di investire in pubblicità, rinunciano a una parte del guadagno, dovendo sia fare uno sconto all'utente sia dare una royalty a Groupon. Trasformano così un costo iniziale e fisso - quello della pubblicità - in
uno proporzionale al successo dell'iniziativa. La quale ha anche il vantaggio di essere più trascinante e mirata rispetto alla pubblicità tradizionale". Il mito di Groupon racconta di ristoranti che hanno dovuto staccare il telefono. E centri di bellezza presi d'assalto da clienti pronte a provare quel trattamento anti-cellulite offerto a prezzi stracciati. Ma anche utenti infuriati perché avevano
comprato un coupon da 50 euro, che dava diritto a 120 euro per una cena
romantica, salvo poi scoprire che per usarlo in quel ristorante molto chic dovevano spendere altri cento euro in vini, più la mancia. Come che sia, il modello funziona e Google ha persino provato a comprare Groupon per 6 miliardi di dollari. Ma Mason ha detto "no, grazie" e ha continuato i preparativi per le nozze con la fidanzata ucraina, che pare saranno in una ghost town americana rimessa a nuovo per l'occasione. La sua idea ha fatto scuola: "Quella a cui stiamo assistendo è solo l'alba di un fenomeno che avrà grandi sviluppi. Anche in Italia e soprattutto sui cellulari", dice Liscia. A questi ha già pensato Glamoo, un'azienda inglese fondata e diretta
da italiani: "Il nostro è un modello diverso da Groupon. Siamo i primi ad affiliare anche boutique della moda, oltre ai ristoranti. L'utente accede gratis alle offerte scontate via sito Web, mentre paga da 3 a 10 euro per averle su cellulare", spiega Alessandro Santamaria, country manager di Glamoo, che chiede una royalty del 30
per cento. Ha 700 mila utenti. Si distingue anche l'italiana Pointix, che si concentra su città minori (mentre
Groupon opera soprattutto sulle maggiori). Lo scenario futuro è facile da prevedere: "Ci ritroveremo di notte in piena campagna e cercheremo su cellulare il super sconto per un alloggio. E poi, con gli stessi strumenti, racconteremo ad altri utenti Internet se è stata una bella esperienza", dice Liscia. Di questo passo, chissà se
tra qualche anno ci sarà ancora qualche esercente interessato a comprare la solita pubblicità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Alessandro Longo
Il fenomeno degli acquisti di gruppo on line è solo all'inizio. Perché mescola
la forza dei network sociali con la potenza della geolocalizzazione.
E' un ragazzotto di 29 anni di Pittsburgh l'inventore del modello di business che sta rivoluzionando il mondo del commercio e della pubblicità: Andrew Mason. Ora
telelavora da un paesino ucraino dove vive con la futura sposa. La sua azienda, Groupon, ha già ricevuto più di un miliardo di dollari in finanziamenti privati. La rivista "Fast Company" l'ha messa al quinto posto tra le aziende più innovative del 2011, in una classifica dominata da Apple e dove Google è solo sesta. "La formula di Groupon, ora imitata da 500 aziende nel mondo, anche italiane, è
rivoluzionaria perché mescola il commercio elettronico con quello tradizionale, legato al territorio", spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio del commercio elettronico italiano. Infatti l'utente si iscrive (gratis) a un sito dopodiché deve indicare la propria città: è così che comincia a ricevere, via Internet, promozioni ad hoc, provenienti da esercenti locali che aderiscono all'iniziativa. Le offerte durano per un tempo limitato e valgono solo se viene raggiunto un numero
sufficiente di acquirenti. Grazie alla formula dei gruppi di acquisto i siti di social commerce promettono uno sconto fino al 70 per cento rispetto ai normali prezzi di listino. Dov'è il business? Gli esercenti girano a Groupon una royalty sugli acquisti, di
solito il 50 per cento. "In sostanza fanno una scelta che ribalta il modello
promozionale tipico", spiega Liscia. "Invece di investire in pubblicità, rinunciano a una parte del guadagno, dovendo sia fare uno sconto all'utente sia dare una royalty a Groupon. Trasformano così un costo iniziale e fisso - quello della pubblicità - in
uno proporzionale al successo dell'iniziativa. La quale ha anche il vantaggio di essere più trascinante e mirata rispetto alla pubblicità tradizionale". Il mito di Groupon racconta di ristoranti che hanno dovuto staccare il telefono. E centri di bellezza presi d'assalto da clienti pronte a provare quel trattamento anti-cellulite offerto a prezzi stracciati. Ma anche utenti infuriati perché avevano
comprato un coupon da 50 euro, che dava diritto a 120 euro per una cena
romantica, salvo poi scoprire che per usarlo in quel ristorante molto chic dovevano spendere altri cento euro in vini, più la mancia. Come che sia, il modello funziona e Google ha persino provato a comprare Groupon per 6 miliardi di dollari. Ma Mason ha detto "no, grazie" e ha continuato i preparativi per le nozze con la fidanzata ucraina, che pare saranno in una ghost town americana rimessa a nuovo per l'occasione. La sua idea ha fatto scuola: "Quella a cui stiamo assistendo è solo l'alba di un fenomeno che avrà grandi sviluppi. Anche in Italia e soprattutto sui cellulari", dice Liscia. A questi ha già pensato Glamoo, un'azienda inglese fondata e diretta
da italiani: "Il nostro è un modello diverso da Groupon. Siamo i primi ad affiliare anche boutique della moda, oltre ai ristoranti. L'utente accede gratis alle offerte scontate via sito Web, mentre paga da 3 a 10 euro per averle su cellulare", spiega Alessandro Santamaria, country manager di Glamoo, che chiede una royalty del 30
per cento. Ha 700 mila utenti. Si distingue anche l'italiana Pointix, che si concentra su città minori (mentre
Groupon opera soprattutto sulle maggiori). Lo scenario futuro è facile da prevedere: "Ci ritroveremo di notte in piena campagna e cercheremo su cellulare il super sconto per un alloggio. E poi, con gli stessi strumenti, racconteremo ad altri utenti Internet se è stata una bella esperienza", dice Liscia. Di questo passo, chissà se
tra qualche anno ci sarà ancora qualche esercente interessato a comprare la solita pubblicità.
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sabato 14 gennaio 2012
Chomsky: le esportazioni cinesi
Chomsky: il progresso economico cinese ha poco a che vedere con la globalizzazione, deriva più che altro dal commercio e dalle esportazioni.
La Cina, a poco a poco, è diventata un grande Paese esportatore e nessuno, me compreso, può essere contrario alle esportazioni: ma questa non è la globalizzazione. La Cina è diventata lo stabilimento industriale del sistema produttivo del Nord Est asiatico. Se si guarda all’intera regione, la si troverà molto dinamica. Il volume di esportazioni cinese è senz’altro enorme, ma qualcosa ci sfugge: l’export cinese dipende fortemente, a sua volta, dalle esportazioni di Giappone, Corea e Stati Uniti. Questi paesi forniscono alla Cina i componenti e le tecnologie high-tech e quest’ultima ne fa semplicemente l’assemblaggio, etichettando il prodotto finale come “Made in China”.
La Cina, a poco a poco, è diventata un grande Paese esportatore e nessuno, me compreso, può essere contrario alle esportazioni: ma questa non è la globalizzazione. La Cina è diventata lo stabilimento industriale del sistema produttivo del Nord Est asiatico. Se si guarda all’intera regione, la si troverà molto dinamica. Il volume di esportazioni cinese è senz’altro enorme, ma qualcosa ci sfugge: l’export cinese dipende fortemente, a sua volta, dalle esportazioni di Giappone, Corea e Stati Uniti. Questi paesi forniscono alla Cina i componenti e le tecnologie high-tech e quest’ultima ne fa semplicemente l’assemblaggio, etichettando il prodotto finale come “Made in China”.
mercoledì 11 gennaio 2012
2012: L anno della cooperazione
Tutti per uno, uno per tutti! Il motto dei Tre Moschettieri di Alexandre Dumas si attaglia alla perfezione alla decisione delle Nazioni Unite di dichiarare il 2012 anno internazionale delle cooperative. Un modo per sottolineare il contributo di queste organizzazioni allo sviluppo socio-economico di un mondo alla ricerca di modelli di business alternativi. Se in natura la cooperazione favorisce la sopravvivenza di molte specie (basti pensare alle colonie d'insetti, ai banchi di pesci o agli stormi di uccelli), negli ultimi decenni l'uomo ha privilegiato il principio opposto – quello della competizione – rienendo che fosse lo strumento più efficace per il progresso umano. Nel 2012 le Nazioni Unite sperano di riuscire a ribilanciare una situazione fortemente squilibrata: “Le cooperative dimostrano alla comunità internazionale come si possa essere allo stesso tempo economicamente vitali e socialmente responsabili” ha dichiarato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon. In particolare, il focus è sull'impatto positivo in termini di riduzione della povertà, generazione di posti di lavoro e integrazione sociale. La crisi finanziaria, la crescita delle diseguaglianze, fame e povertà hanno fatto crescere nel mondo lo scetticismo sulle ricette liberiste e sull'individualismo sfrenato del turbo capitalismo degli ultimi decenni. Scetticismo che cresce al crescere del potere economico del Sud e dell'Est del mondo. La gente cerca nuovi modi di fare business che coinvolgano e portino benefici ai poveri quanto ai benestanti. Non devono guardare lontano: sta già accadendo e su larga scala. Oltre un miliardo di persone nel mondo si sono associate in cooperative e queste imprese hanno migliorato il livello di vita di tre miliardi di persone secondo i dati forniti dall International Cooperative Alliance (ICA). Nel 2009 in Brasile le cooperative rappresentavano già il 37,2% del prodotto interno lordo del settore agricolo e il 5,4% del Pil totale. In Germania 8.106 cooperative danno lavoro a 440mila persone. In canada quattro cittadini su dieci sono membri di almeno una cooperativa. In India vi sono oltre 15.500 cooperative del latte sparse sul territorio alle quali aderiscono i piccoli allevatori che possono così beneficiare di una struttura comune ed efficiente di trasformazione e commercializzazione del prodotto. I benefici finanziari vengono spesso reinvestiti nelle comunità locali e questo rappresenta un tratto distintivo del modello cooperativo rispetto a quello capitalistico, dove i profitti generati localmente vengono incamerati da sconosciuti e lontanissimi azionisti. Secondo i dati dell'ICA, negli ultimi anni in Costa d'Avorio le cooperative hanno investito 26 milioni di dollari in scuole, rete viaria rurale e cliniche ostetriche. In Burkina Faso l'ambientalista francese Olivier Behra promuove la produzione di burro biologico da parte delle cooperative locali anche in funzione della protezione dell'ambiente e dell'ecosistema: “Nel momento in cui la gente può vivere vendendo i propri prodotti, inizia a proteggere anche l'ambiente e il territorio”, dice Behra. Ma le cooperative possono rappresentare una concreta alternativa per le economie malconcie e indebitate dei Paesi industrializzati? In effetti, in molti Paesi occidentali tra cui la Gran Bretagna le cooperative sono già oggi una forte realtà economica e il numero degli start-up di cooperative in settori quali le energie rinnovabili e la produzione alimentare è in forte crescita nonostante la recessione.
martedì 10 gennaio 2012
Mai dire capitalismo!
Il capitalismo è brutto, vecchio come un abito logorato che ormai ha fatto il suo tempo e deve essere abbandonato e dimenticato in un armadio.
E’ questo il pensiero dei giovani americani – specie di coloro che in questi mesi hanno partecipato al movimento “Occupy Wall Street” – registrato dal sondaggio realizzato dalPew Research Center e pubblicato mercoledì scorso. Il risultato del sondaggio, che viene effettuato ogni anno e che mira a conoscere gli orientamenti politici dei cittadini americani, ha sorpreso molti analisti politici. In tanti si aspettavano, infatti, un atteggiamento critico nei confronti dell’attuale amministrazione, ma quasi nessuno era pronto a scommettere sulladiffusione degli ideali socialisti tra gli americani. Eppure, i dati della ricerca ci rivelano che il 49% dei giovani americani, tra i 18 e i 29 anni, è “fan” del socialismo, mentre soltanto il 43% si dichiara contrario. Il risultato è ancor più sorprendente se si considera che soltanto venti mesi fa la situazione era completamente rovesciata, vale a dire che soltanto il 43% dei giovani americani era favorevole al socialismo e il 46% era contrario. Il Pew Research Center classifica inoltre i suoi risultati dividendo la popolazione per età, razza, reddito e appartenenza politica. E così si scopre che la maggior parte dei “fan” del socialismo si trovano tra la popolazione nera e i simpatizzanti del partito democratico: cioè il 55% dei neri e il 59% dei democratici si dichiarano a favore del socialismo. I risultati di questa ricerca giustificano bene le paure diFrank Luntz, il guru della comunicazione politica del partito repubblicano, il quale soltanto poche settimane fa si dichiarava terrorizzato dalla crescita della popolarità del movimento “Occupy Wall Street”: “Sono spaventato a morte dall’impatto che il movimento “Occupy Wall Street” sta avendo sul modo in cui gli americani vedono il capitalismo”. Luntz sta ora girando in lungo e in largo gli Stati Uniti per insegnare ai membri del partito repubblicano la nuova strategia comunicativa, che egli stesso sintetizza in 10 raccomandazioni:
1.Mai usare la parola “capitalismo”. Al suo posto Luntz consiglia l’uso di altre espressioni: “libertà economica” o “libero mercato”;
2.Mai dire che il governo “tassa i ricchi”. Secondo Luntz, infatti, occorre affermare che il governo “prende dai ricchi”;
3.Mai dire “classe media”. Il termine adatto da utilizzare sarebbe “lavoratori contribuenti”;
4.Mai dire “lavoro”. La parola giusta per la sostituzione sarebbe “carriera”;
5.Mai dire “spesa pubblica”. Al suo posto Luntz consiglia la parola “spreco”;
6.Mai dire che si desidera raggiungere un “compromesso”. Sarebbe un chiaro segno di debolezza, secondo Luntz, perciò egli ordina la sua sostituzione con il termine “cooperazione”;
7.La parola chiave da dire a un membro del movimento “Occupy Wall Street”, secondo Luntz, è: “Capisco” (“Capisco che sei arrabbiato. Capisco che hai visto l’ineguaglianza. Capisco che vuoi migliorare il sistema”);
8.Mai dire “imprenditore”. Meglio usare le espressioni: “datore di lavoro” o “creatore di lavoro”.
9.Mai chiedere a qualcuno di “sacrificarsi”. Meglio dire che “siamo tutti sulla stessa barca. Possiamo avere successo o possiamo fallire insieme”.
10.Attribuire sempre la colpa a Washington.
Luntz la sa lunga e sa fiutare il pericolo prima di tanti altri, ma egli appare poco più che una “giovane marmotta” se paragonato ai “guru comunicativi” di casa nostra. Il riferimento è a quelli che definiscono “assoluzione” una semplice prescrizione, a quelli che parlano di “patto tra generazioni” per nascondere il più grande allargamento dello sfruttamento e della precarietà per tutti, padri e figli, a coloro che si riempiono la bocca con espressioni tipo “progetto fabbrica Italia” soltanto per cancellare il fatto che le fabbriche le stanno pian piano chiudendo tutte, che usano la parola “riforma” per promuovere le più feroci controriforme… e così via. Dinanzi a tale generale tendenza al rovesciamento di senso vengono in mente le parole di Guy Debord che, non molto tempo fa, affermava lungimirante: “Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale“. Cioè ora “non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è il suo mondo“.
Riformiamo quegli Ordini
La concorrenza migliora la qualità del servizio (al contrario di quello che si sente dai rappresentanti di categoria, sempre attenti alla "qualità" del servizio da non "svendere".
Riformiamo quegli Ordini
di Alessandro De Nicola - L'Espresso
Le categorie professionali si oppongono a qualsiasi cambiamento. Una difesa delle proprie prerogative che dimentica la rivoluzione in atto nei servizi intellettuali. E rinuncia a guidare la modernizzazione.
Nel Belpaese si ha l'impressione che le professioni intellettuali tradizionali siano da tempo arroccate nella difesa delle loro prerogative e che anzi, complice la crisi, chiedano che vengano estese anche a loro nuove protezioni. La "modernizzazione" del settore è vista dai rappresentanti degli ordini professionali tutt'al più come implicante maggiori obblighi di formazione professionale ma niente più, tant'è che, appena prima della legge di stabilità (che impone entro 12 mesi una radicale ristrutturazione degli Ordini professionali), stavano procedendo di buona lena in Parlamento vari provvedimenti restrittivi: la riforma dell'Ordine dei giornalisti che restringeva le possibilità di accesso, l'istituzione di nuovi Albi (tra cui quello degli igienisti dentali, professione che schiude le porte a luminose carriere in altri campi) e la modifica dell'ordinamento forense che mirava a reintrodurre le tariffe professionali inderogabili e una serie di limitazioni, guarentigie, divieti che andavano in senso contrario alla liberalizzazione del settore. I professionisti sono una lobby ben organizzata (basti pensare che circa il 40 per cento dei parlamentari appartiene a una categoria professionale) e vocale.
Nonostante il problema della concorrenza e dell'efficienza del mercato dei servizi professionali (che rappresentano un fatturato di 200 miliardi di euro) si ponga ormai dal 1997, quando l'Autorità antitrust pubblicò la prima indagine conoscitiva sul tema (e nel 2003 l'allora commissario europeo alla concorrenza, Mario Monti, ricordasse: "Non credo che gli ordini dovrebbero essere coinvolti nella sfera economica dei professionisti, dettando regole sul comportamento nel mercato dei loro iscritti, come per esempio fissando le tariffe o vietando la pubblicità"), l'unico vero scossone si ebbe con il decreto Bersani che abolì i minimi tariffari, introdusse il patto di quota lite e diede via libera alle parafarmacie. Poi più niente, se non un gioco di interdizione degli Ordini che hanno cercato di limitare la portata della riforma. Orbene, ormai gli studi sul settore sono numerosi: quelli della Banca di Italia hanno evidenziato che i servizi professionali nei Paesi meno regolamentati contribuiscono a una maggior crescita del Pil (una media dello 0,8 per cento in più) e la concorrenza migliora la qualità del servizio (al contrario di quello che si sente dai rappresentanti di categoria, sempre attenti alla "qualità" del servizio da non "svendere"); l'Antitrust o, da ultimo, la Fondazione Debenedetti, mostrano un certo nepotismo e una completa casualità nell'accesso (in alcuni capoluoghi i promossi
all'esame di Stato sono il 90 per cento, in altri meno del 10), nonché una scarsa propensione degli Ordini a disciplinare gli iscritti (propensione che non è aumentata dopo la Bersani, segno che l'abolizione delle tariffe non ha inciso sulla qualità...). Inoltre, le professioni si stanno rivoluzionando: sempre di più nel mondo agiranno società di capitali (ammesse anche dalla legge di stabilità) per fornire a basso costo e su base globale servizi ora pagati con parcelle "dignitose". L'asimmetria informativa caratteristica delle prestazione professionale (il cliente non è in grado di giudicare la bontà di ciò che si riceve), grazie a Internet, al rafforzamento delle strutture interne delle aziende e all'attivismo delle associazioni dei consumatori si sta riducendo. Sempre più l'outsourcing verso giurisdizioni (o regioni all'interno dello stesso Paese) più convenienti, tecnologia ed innovazione sia nei servizi che nel metodo di parcellazione (i clienti pretendono ora di associare il professionista al proprio rischio imprenditoriale) saranno per il mondo professionale la formula per creare valore aggiunto e crescere o quantomeno non essere spazzati via. Se questo è vero, invece che organizzare anacronistiche astensioni dalle udienze ed emettere indignati comunicati contro la mercificazione delle arti liberali, i professionisti dovrebbero cogliere al volo le opportunità della liberalizzazione e, per una volta, guidare il processo di cambiamento invece che esserci trascinati dentro, impreparati e subalterni.
domenica 8 gennaio 2012
Il documento della KPMG sulla galassia Fininvest
La KPMG, una delle più prestigiose società di revisione contabile del mondo, un colosso dell’accounting, l’arte della certificazione di bilancio, deposita – il 23 gennaio del 2001 – 800 pagine di un’analisi tecnico-contabile di sette anni di bilanci della galassia societaria Fininvest, dal 1989 al 1996, quella che per brevità è stata chiamata “All Iberian”. Si sa quel che dice il Cavaliere di “All Iberian” (“Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario”, Ansa, 23 novembre 1999).
Il documento di KPMG racconta come vanno le cose nella società di Berlusconi: Fininvest sommerge buona parte della sua contabilità. Nascosta da un doppio registro, movimenta, nei 7 anni analizzati dalla perizia, almeno 3 mila e 500 miliardi, 884 dei quali occultati su piazze off-shore. “Per alterare la rappresentazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale nel bilancio consolidato Fininvest”, scrive KPMG. Si scopre che la Fininvest opera attraverso due comparti societari. Il “Gruppo A” – ufficiale – e il “Gruppo B”, riservato. Lo spiega l’avvocato inglese David Mills, che ne costruisce l’architettura riferendone direttamente anche a Silvio Berlusconi: “Il Gruppo B è un’espressione utilizzata per differenziare le società ufficiali del gruppo A da quelle, pur controllate nello stesso modo dalla Fininvest, che non dovevano apparire come società del gruppo per essere tenute fuori dal bilancio consolidato. Un promemoria definiva le società del gruppo B “very discreet” (molto riservate), perché il collegamento con il gruppo Fininvest rimanesse segreto”.
La KPMG individua 64 società off-shore su tre livelli. Al primo appartengono 29 sigle, distribuite geograficamente in quattro aree. “Ventuno società hanno sede nelle Isole Vergini inglesi, cinque nel Jersey, due alle Bahamas, una a Guernsey”. “Altre tredici società – anch’esse off-shore – formano il secondo livello. Si tratta di “controllate” da società del primo livello da cui non si distinguono né per funzioni, né per organizzazione societaria”. Caratteristica comune anche alle 22 sigle del terzo ed ultimo livello. Ancora KPMG: “La gestione (di queste società) è a cura di amministratori e personale del gruppo Fininvest”. I reali beneficiari (beneficial owner) sono “amministratori, dirigenti, consulenti o società del gruppo Fininvest”. Dalla Fininvest “dipende quasi esclusivamente il loro finanziamento che avviene attraverso le medesime banche e società fiduciarie”.
Ricapitoliamo: c’è un comparto segreto, protetto all’estero, ne fanno parte 64 società direttamente controllate da Fininvest. In nome e per conto di Fininvest, concludono transazioni in settori ritenuti strategici per il Gruppo. I loro bilanci sono invisibili, ma solo alla contabilità ufficiale, perché i dirigenti di Fininvest ne hanno il pieno controllo. Come abbiamo già detto, tra il 1989 e il 1996 attraverso il comparto B sono stati stornati dai bilanci Fininvest 884 miliardi e 500 milioni. Cifre parziali, sostiene KPMG, perché “i conti cui è stato appoggiato per sette anni il comparto migrano verso le Bahamas. A Nassau, in Norfolk House, a Frederick Street, ha sede la Finter Bank & Trust. Qui, su nuovi conti sarebbe affluita la ricchezza del fu comparto B”.
A meno che Silvio Berlusconi non l’abbia fatta rientrare in Italia protetta dallo “scudo” costruito dai suoi governi, si può ragionevolmente dire che ancora oggi egli custodisce in paradisi fiscali una parte del suo patrimonio. Può Berlusconi muovere l’arsenale politico, economico, mediatico che ha sottomano per liquidare un presidente della Camera dissidente chiedendogli conto di un indimostrato bruscolo (una fiducia mal riposta) che quello, Fini, ha negli occhi e restare al suo posto nonostante le prove dell’affarismo societario che fanno di lui, Berlusconi, un primatista indiscusso? Quale “regime personale” può giustificare questa difformità? Quale assuefazione dello storto sul diritto?
http://www.libertaegiustizia.it/2010/09/28/la-trave-delloffshore-nellocchio-del-cavaliere/
venerdì 6 gennaio 2012
La triplice emergenza - di Jeremy Rifkin
La triplice emergenza
di Jeremy Rifkin
Riusciremo a effettuare la transizione in tempo utile e a evitare di precipitare nell'abisso?
Credito, energia, cambiamenti climatici. Le crisi sono collegate e si alimentano reciprocamente. Per questo sono così difficili da battere. La soluzione è trasformarle in opportunità commerciali. Ammesso che ce ne sia il tempo.
Stiamo vivendo un periodo storico di enorme precarietà. Incombe infatti su di noi la prospettiva concreta di un tracollo economico globale, della portata di quello verificatosi durante la Grande Depressione negli anni Trenta. La crisi creditizia globale è aggravata dalla crisi energetica globale e dalla crisi del cambiamento del clima globale, e tutte insieme contribuiscono a creare un possibile cataclisma per la civiltà umana, diverso da qualsiasi altra cosa alla quale si sia assistito finora. Le tre crisi globali sono collegate tra loro e si alimentano reciprocamente. Affrontare questa triplice minaccia che incombe sul nostro stile di vita obbliga a dare il via a una nuova programmazione economica che riesca a trasformare in modo efficiente le avversità contingenti in altrettante opportunità.
L'attuale crisi creditizia, che sta dilagando in Europa e nel mondo intero, è iniziata nei primi anni Novanta. Da circa un decennio gli stipendi negli Stati Uniti erano fermi e in flessione. L'America è uscita dalla recessione degli anni 1989-1991, determinata almeno in parte da una contrazione del mercato immobiliare, estendendo a milioni di americani il credito al consumo. Il diffondersi di carte di credito facilmente ottenibili ha consentito ai consumatori statunitensi di acquistare beni e servizi ben al di là delle proprie effettive possibilità.
La 'cultura della carta di credito' ha incrementato il potere di acquisto e ha rimesso all'opera e al lavoro le aziende e i lavoratori americani per produrre tutti quei beni e quei servizi che erano acquistabili ricorrendo al credito. Negli ultimi 17 anni, i consumatori americani hanno sostenuto l'economia globale, in buona parte grazie agli acquisti effettuati con le carte di credito. Lo scotto pagato per mantenere l'economia globale sulle spalle di un debito al consumo sempre più alto negli Stati Uniti, tuttavia, ha comportato il dissolvimento dei risparmi delle famiglie americane. Nel 1991 i risparmi per nucleo familiare erano mediamente intorno all'8 per cento, mentre nel 2006 sono smaccatamente passati nella categoria dei passivi. Oggi una famiglia americana media spende più di ciò che guadagna: tale situazione si definisce 'reddito passivo', un ossimoro che ben rappresenta un approccio errato allo sviluppo economico.
A mano a mano che i risparmi delle famiglie sono diventati negativi, l'industria dei mutui e delle banche ha creato una seconda linea artificiale di credito, consentendo così alle famiglie americane di comperare una casa anticipando poco denaro o anche nulla e accendendo mutui di categoria subprime con bassi tassi di interesse a breve o brevissimo termine, mentre di fatto i tassi di interesse continuavano a salire e la rata in scadenza del mutuo era costantemente posticipata a un futuro indefinito. Milioni di americani hanno abboccato all'amo e si sono comperati case di valore molto superiore alla loro effettiva capacità di poterla pagare sul lungo periodo, creando così la nota bolla immobiliare. Ma è accaduto anche di peggio: comperando tutto a credito e necessitando di denaro contante, i proprietari di casa le hanno poi utilizzate alla stregua di sportelli bancomat e hanno rifinanziato i loro mutui, in qualche caso anche due o tre volte, ottenendo così i soldi che volevano. Ora che la bolla immobiliare è scoppiata, milioni di americani si ritrovano sull'orlo del baratro e le banche rischiano il fallimento.
Dopo 17 anni vissuti alle spalle di un credito eccessivo, si è arrivati al punto che gli Stati Uniti adesso sono un'economia in completo sfacelo. Le passività lorde del settore finanziario statunitense, che nel 1980 erano pari al 21 per cento del Pil, hanno continuato incessantemente a salire nel corso degli ultimi 27 anni, arrivando nel 2007 a un assurdo 116 per cento del Pil. Considerato poi che le comunità bancarie e finanziarie statunitensi, europee e asiatiche sono ormai intimamente collegate tra loro, la crisi creditizia dall'America si è espansa a macchia d'olio, fino a investire l'intera economia globale.
A peggiorare le cose, la crisi creditizia globale ha subito un'ulteriore escalation negli ultimi due anni per l'impennata del prezzo del petrolio, che nel luglio 2008 ha raggiunto sui mercati mondiali la cifra di 147 dollari al barile. Questa impennata del greggio ha inferto un duro colpo all'inflazione, ha ridotto significativamente il potere di acquisto dei consumatori, ha rallentato la produzione e aumentato la disoccupazione, creando ancor più scompiglio e preoccupazione in un'economia già assillata dai debiti.
Ormai siamo di fronte a un nuovo fenomeno, detto 'Peak Globalization' (picco della globalizzazione), che si è verificato quando il petrolio ha toccato i 150 dollari al barile. Oltre questo livello, l'inflazione crea come un muro di sbarramento nei confronti di una crescita economica continuata, spingendo l'economia globale inesorabilmente indietro, verso la crescita zero. È solo con la contrazione dell'economia globale che il prezzo dell'energia ha ripreso a scendere in virtù della minore energia utilizzata.
L'importanza della 'Peak Globalization' non è sopravvalutata. La premessa essenziale della globalizzazione era che l'abbondanza di petrolio a basso prezzo avrebbe consentito alle grandi aziende di spostare i capitali in direzione dei mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, dove i prodotti alimentari e i manufatti possono essere realizzati con minima spesa e con ingenti margini di guadagno, per poi essere spediti in tutto il mondo. Questa premessa di base è sfumata, con conseguenze preoccupanti per il processo di globalizzazione.
Per comprendere come sia stato possibile arrivare a questo punto, occorre ritornare indietro nel tempo, per la precisione al 1979, l'anno in cui - secondo uno studio effettuato dalla BP, la compagnia petrolifera britannica - il petrolio globale pro capite toccò il suo picco massimo. Per l'opinione pubblica è decisamente più famigliare l'espressione 'picco della produzione globale di petrolio', che si riferisce al periodo temporale nel quale si esaurisce la metà del petrolio disponibile al mondo. Secondo i geologi il picco della produzione globale di petrolio molto verosimilmente dovrebbe aver luogo in un momento imprecisato compreso tra il 2010 e il 2035. Il picco della produzione petrolifera pro capite, invece, è il motivo per il quale il picco della globalizzazione si è verificato ben prima di quello della produzione petrolifera.
Dopo il 1979, la quantità di petrolio a disposizione di ogni essere umano ha iniziato a diminuire. Anche se da allora si sono scoperti altri giacimenti di greggio, il fatto che la popolazione terrestre aumenti di continuo significa che, se il petrolio fosse distribuito in modo uniforme a tutti gli esseri umani, ogni individuo si ritroverebbe meno petrolio a disposizione. Quando Cina e India negli anni Novanta hanno dato inizio al loro impressionante sviluppo, la loro richiesta di petrolio è schizzata alle stelle. La domanda ha cominciato a superare l'offerta e il prezzo del petrolio ha iniziato inesorabilmente a salire.
La conclusione di questo processo è che con meno petrolio pro capite teoricamente disponibile, tutti i tentativi di portare un terzo dell'intero genere umano - a tanto ammonta complessivamente la popolazione di Cina e India - nella Seconda Rivoluzione Industriale su base petrolifera, si scontrano con una limitata disponibilità di petrolio. In altre parole, le pressioni e le richieste da parte di una popolazione terrestre in continuo aumento di disporre di riserve petrolifere limitate inevitabilmente ne fa lievitare il prezzo, e quando il petrolio tocca i 150 dollari al barile, l'inflazione diventa talmente pesante da fungere da fattore frenante nei confronti di un'ulteriore crescita economica e l'economia globale si contrae.
Il prezzo in forte aumento dell'energia è incluso in ogni prodotto che realizziamo. I nostri alimenti sono ottenuti con fertilizzanti, petrolchimici e pesticidi; le nostre materie plastiche e i materiali da costruzione; la maggior parte dei prodotti farmaceutici e gli stessi abiti che indossiamo sono realizzati anch'essi a partire da combustibili fossili, come pure i nostri mezzi di trasporto e l'elettricità. Il costo più alto dell'energia ha un impatto incisivo su ogni aspetto della produzione, e al tempo stesso rende sempre più proibitivo il trasporto a lunga distanza via aerea e via mare con le navi cisterna. Quale che fosse il guadagno marginale precedentemente fruito da chi con la delocalizzazione spostava la produzione verso mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, è adesso azzerato dai costi energetici sempre più alti nell'intera catena di produzione. Questo segna l'effettiva fine della Seconda Rivoluzione Industriale, che ha luogo ancor prima che sia stato raggiunto il picco della produzione globale di petrolio.
Al contempo, gli effetti del cambiamento climatico 'in tempo reale' stanno aggravando ancor più la situazione economica di varie zone del pianeta. L'ammontare dei danni arrecati all'economia statunitense dai soli uragani Katrina, Rita, Ike e Gustav si stima in eccesso nell'ordine dei 240 miliardi di dollari. Alluvioni, siccità, incendi, tornadi e altri cataclismi climatici estremi hanno decimato gli ecosistemi in tutto il mondo, non paralizzando soltanto la produzione agricola, ma anche le infrastrutture, rallentando l'economia globale e obbligando milioni di sfollati ad abbandonare le loro case.
Il governo statunitense ha varato un piano di salvataggio pari a quasi un trilione di dollari per salvare l'economia degli Stati Uniti, ma ciò non sarà sufficiente, in sé e per sé, ad arginare la recessione e farci invertire direzione per entrare in un nuovo periodo di crescita economica sostenibile, e questo perché il debito complessivo dell'economia statunitense è nell'ordine ormai di svariati trilioni di dollari. Nel frattempo, gli stipendi americani hanno continuato a rimanere immutati e la disoccupazione è in incremento. La supposizione che l'attuale recessione sia a breve termine e puramente ciclica è nel migliore dei casi ingenua e nel peggiore dei casi ingannevole. Le riserve energetiche globali, come pure quelle di gas naturale e di uranio, vanno economizzate, se dobbiamo soddisfare le aspettative di crescita del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo, mentre carbone, sabbie bituminose e greggio pesante sono troppo sporchi e inquinanti per poter essere utilizzati. Il cambiamento climatico in atto in tempo reale sta procedendo a un ritmo molto più sostenuto rispetto alle proiezioni e ai modelli scientifici elaborati e resi noti in precedenza, e già destabilizza interi ecosistemi e crea scompiglio nelle attività economiche della società. Che fare, dunque?
Il nostro pianeta necessita di una visione economica adeguata, valida, nuova, che sposti la discussione e l'agenda relativa alla crisi creditizia globale, al picco petrolifero, e al cambiamento climatico dalla paura alla speranza, dai vincoli economici alle opportunità commerciali. Questa nuova concezione sta manifestandosi proprio in questo periodo, nel momento in cui le industrie si precipitano a introdurre le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, la tecnologia di immagazzinamento dell'idrogeno, reti intelligenti di servizio pubblico, veicoli elettrici ricaricabili, preparando il terreno per una Terza Rivoluzione Industriale post-carbone.
La domanda più importante che dobbiamo porci, a questo punto, è la seguente: riusciremo a effettuare la transizione in tempo utile e a evitare di precipitare nell'abisso?
di Jeremy Rifkin
Riusciremo a effettuare la transizione in tempo utile e a evitare di precipitare nell'abisso?
Credito, energia, cambiamenti climatici. Le crisi sono collegate e si alimentano reciprocamente. Per questo sono così difficili da battere. La soluzione è trasformarle in opportunità commerciali. Ammesso che ce ne sia il tempo.
Stiamo vivendo un periodo storico di enorme precarietà. Incombe infatti su di noi la prospettiva concreta di un tracollo economico globale, della portata di quello verificatosi durante la Grande Depressione negli anni Trenta. La crisi creditizia globale è aggravata dalla crisi energetica globale e dalla crisi del cambiamento del clima globale, e tutte insieme contribuiscono a creare un possibile cataclisma per la civiltà umana, diverso da qualsiasi altra cosa alla quale si sia assistito finora. Le tre crisi globali sono collegate tra loro e si alimentano reciprocamente. Affrontare questa triplice minaccia che incombe sul nostro stile di vita obbliga a dare il via a una nuova programmazione economica che riesca a trasformare in modo efficiente le avversità contingenti in altrettante opportunità.
L'attuale crisi creditizia, che sta dilagando in Europa e nel mondo intero, è iniziata nei primi anni Novanta. Da circa un decennio gli stipendi negli Stati Uniti erano fermi e in flessione. L'America è uscita dalla recessione degli anni 1989-1991, determinata almeno in parte da una contrazione del mercato immobiliare, estendendo a milioni di americani il credito al consumo. Il diffondersi di carte di credito facilmente ottenibili ha consentito ai consumatori statunitensi di acquistare beni e servizi ben al di là delle proprie effettive possibilità.
La 'cultura della carta di credito' ha incrementato il potere di acquisto e ha rimesso all'opera e al lavoro le aziende e i lavoratori americani per produrre tutti quei beni e quei servizi che erano acquistabili ricorrendo al credito. Negli ultimi 17 anni, i consumatori americani hanno sostenuto l'economia globale, in buona parte grazie agli acquisti effettuati con le carte di credito. Lo scotto pagato per mantenere l'economia globale sulle spalle di un debito al consumo sempre più alto negli Stati Uniti, tuttavia, ha comportato il dissolvimento dei risparmi delle famiglie americane. Nel 1991 i risparmi per nucleo familiare erano mediamente intorno all'8 per cento, mentre nel 2006 sono smaccatamente passati nella categoria dei passivi. Oggi una famiglia americana media spende più di ciò che guadagna: tale situazione si definisce 'reddito passivo', un ossimoro che ben rappresenta un approccio errato allo sviluppo economico.
A mano a mano che i risparmi delle famiglie sono diventati negativi, l'industria dei mutui e delle banche ha creato una seconda linea artificiale di credito, consentendo così alle famiglie americane di comperare una casa anticipando poco denaro o anche nulla e accendendo mutui di categoria subprime con bassi tassi di interesse a breve o brevissimo termine, mentre di fatto i tassi di interesse continuavano a salire e la rata in scadenza del mutuo era costantemente posticipata a un futuro indefinito. Milioni di americani hanno abboccato all'amo e si sono comperati case di valore molto superiore alla loro effettiva capacità di poterla pagare sul lungo periodo, creando così la nota bolla immobiliare. Ma è accaduto anche di peggio: comperando tutto a credito e necessitando di denaro contante, i proprietari di casa le hanno poi utilizzate alla stregua di sportelli bancomat e hanno rifinanziato i loro mutui, in qualche caso anche due o tre volte, ottenendo così i soldi che volevano. Ora che la bolla immobiliare è scoppiata, milioni di americani si ritrovano sull'orlo del baratro e le banche rischiano il fallimento.
Dopo 17 anni vissuti alle spalle di un credito eccessivo, si è arrivati al punto che gli Stati Uniti adesso sono un'economia in completo sfacelo. Le passività lorde del settore finanziario statunitense, che nel 1980 erano pari al 21 per cento del Pil, hanno continuato incessantemente a salire nel corso degli ultimi 27 anni, arrivando nel 2007 a un assurdo 116 per cento del Pil. Considerato poi che le comunità bancarie e finanziarie statunitensi, europee e asiatiche sono ormai intimamente collegate tra loro, la crisi creditizia dall'America si è espansa a macchia d'olio, fino a investire l'intera economia globale.
A peggiorare le cose, la crisi creditizia globale ha subito un'ulteriore escalation negli ultimi due anni per l'impennata del prezzo del petrolio, che nel luglio 2008 ha raggiunto sui mercati mondiali la cifra di 147 dollari al barile. Questa impennata del greggio ha inferto un duro colpo all'inflazione, ha ridotto significativamente il potere di acquisto dei consumatori, ha rallentato la produzione e aumentato la disoccupazione, creando ancor più scompiglio e preoccupazione in un'economia già assillata dai debiti.
Ormai siamo di fronte a un nuovo fenomeno, detto 'Peak Globalization' (picco della globalizzazione), che si è verificato quando il petrolio ha toccato i 150 dollari al barile. Oltre questo livello, l'inflazione crea come un muro di sbarramento nei confronti di una crescita economica continuata, spingendo l'economia globale inesorabilmente indietro, verso la crescita zero. È solo con la contrazione dell'economia globale che il prezzo dell'energia ha ripreso a scendere in virtù della minore energia utilizzata.
L'importanza della 'Peak Globalization' non è sopravvalutata. La premessa essenziale della globalizzazione era che l'abbondanza di petrolio a basso prezzo avrebbe consentito alle grandi aziende di spostare i capitali in direzione dei mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, dove i prodotti alimentari e i manufatti possono essere realizzati con minima spesa e con ingenti margini di guadagno, per poi essere spediti in tutto il mondo. Questa premessa di base è sfumata, con conseguenze preoccupanti per il processo di globalizzazione.
Per comprendere come sia stato possibile arrivare a questo punto, occorre ritornare indietro nel tempo, per la precisione al 1979, l'anno in cui - secondo uno studio effettuato dalla BP, la compagnia petrolifera britannica - il petrolio globale pro capite toccò il suo picco massimo. Per l'opinione pubblica è decisamente più famigliare l'espressione 'picco della produzione globale di petrolio', che si riferisce al periodo temporale nel quale si esaurisce la metà del petrolio disponibile al mondo. Secondo i geologi il picco della produzione globale di petrolio molto verosimilmente dovrebbe aver luogo in un momento imprecisato compreso tra il 2010 e il 2035. Il picco della produzione petrolifera pro capite, invece, è il motivo per il quale il picco della globalizzazione si è verificato ben prima di quello della produzione petrolifera.
Dopo il 1979, la quantità di petrolio a disposizione di ogni essere umano ha iniziato a diminuire. Anche se da allora si sono scoperti altri giacimenti di greggio, il fatto che la popolazione terrestre aumenti di continuo significa che, se il petrolio fosse distribuito in modo uniforme a tutti gli esseri umani, ogni individuo si ritroverebbe meno petrolio a disposizione. Quando Cina e India negli anni Novanta hanno dato inizio al loro impressionante sviluppo, la loro richiesta di petrolio è schizzata alle stelle. La domanda ha cominciato a superare l'offerta e il prezzo del petrolio ha iniziato inesorabilmente a salire.
La conclusione di questo processo è che con meno petrolio pro capite teoricamente disponibile, tutti i tentativi di portare un terzo dell'intero genere umano - a tanto ammonta complessivamente la popolazione di Cina e India - nella Seconda Rivoluzione Industriale su base petrolifera, si scontrano con una limitata disponibilità di petrolio. In altre parole, le pressioni e le richieste da parte di una popolazione terrestre in continuo aumento di disporre di riserve petrolifere limitate inevitabilmente ne fa lievitare il prezzo, e quando il petrolio tocca i 150 dollari al barile, l'inflazione diventa talmente pesante da fungere da fattore frenante nei confronti di un'ulteriore crescita economica e l'economia globale si contrae.
Il prezzo in forte aumento dell'energia è incluso in ogni prodotto che realizziamo. I nostri alimenti sono ottenuti con fertilizzanti, petrolchimici e pesticidi; le nostre materie plastiche e i materiali da costruzione; la maggior parte dei prodotti farmaceutici e gli stessi abiti che indossiamo sono realizzati anch'essi a partire da combustibili fossili, come pure i nostri mezzi di trasporto e l'elettricità. Il costo più alto dell'energia ha un impatto incisivo su ogni aspetto della produzione, e al tempo stesso rende sempre più proibitivo il trasporto a lunga distanza via aerea e via mare con le navi cisterna. Quale che fosse il guadagno marginale precedentemente fruito da chi con la delocalizzazione spostava la produzione verso mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, è adesso azzerato dai costi energetici sempre più alti nell'intera catena di produzione. Questo segna l'effettiva fine della Seconda Rivoluzione Industriale, che ha luogo ancor prima che sia stato raggiunto il picco della produzione globale di petrolio.
Al contempo, gli effetti del cambiamento climatico 'in tempo reale' stanno aggravando ancor più la situazione economica di varie zone del pianeta. L'ammontare dei danni arrecati all'economia statunitense dai soli uragani Katrina, Rita, Ike e Gustav si stima in eccesso nell'ordine dei 240 miliardi di dollari. Alluvioni, siccità, incendi, tornadi e altri cataclismi climatici estremi hanno decimato gli ecosistemi in tutto il mondo, non paralizzando soltanto la produzione agricola, ma anche le infrastrutture, rallentando l'economia globale e obbligando milioni di sfollati ad abbandonare le loro case.
Il governo statunitense ha varato un piano di salvataggio pari a quasi un trilione di dollari per salvare l'economia degli Stati Uniti, ma ciò non sarà sufficiente, in sé e per sé, ad arginare la recessione e farci invertire direzione per entrare in un nuovo periodo di crescita economica sostenibile, e questo perché il debito complessivo dell'economia statunitense è nell'ordine ormai di svariati trilioni di dollari. Nel frattempo, gli stipendi americani hanno continuato a rimanere immutati e la disoccupazione è in incremento. La supposizione che l'attuale recessione sia a breve termine e puramente ciclica è nel migliore dei casi ingenua e nel peggiore dei casi ingannevole. Le riserve energetiche globali, come pure quelle di gas naturale e di uranio, vanno economizzate, se dobbiamo soddisfare le aspettative di crescita del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo, mentre carbone, sabbie bituminose e greggio pesante sono troppo sporchi e inquinanti per poter essere utilizzati. Il cambiamento climatico in atto in tempo reale sta procedendo a un ritmo molto più sostenuto rispetto alle proiezioni e ai modelli scientifici elaborati e resi noti in precedenza, e già destabilizza interi ecosistemi e crea scompiglio nelle attività economiche della società. Che fare, dunque?
Il nostro pianeta necessita di una visione economica adeguata, valida, nuova, che sposti la discussione e l'agenda relativa alla crisi creditizia globale, al picco petrolifero, e al cambiamento climatico dalla paura alla speranza, dai vincoli economici alle opportunità commerciali. Questa nuova concezione sta manifestandosi proprio in questo periodo, nel momento in cui le industrie si precipitano a introdurre le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, la tecnologia di immagazzinamento dell'idrogeno, reti intelligenti di servizio pubblico, veicoli elettrici ricaricabili, preparando il terreno per una Terza Rivoluzione Industriale post-carbone.
La domanda più importante che dobbiamo porci, a questo punto, è la seguente: riusciremo a effettuare la transizione in tempo utile e a evitare di precipitare nell'abisso?
MIRACOLO A CORTINA !!!
Vi riassumo la notizia:
A Cortina il 30 dicembre 2011 arrivano 80 ispettori dell'Agenzia delle Entrate e, in soli 35 esercizi commerciali su 1000, rispetto al giorno precedente, cioè il 29 dicembre, e rispetto al 2010, é successo il miracolo: gli incassi dei punti vendita e dei servizi finiti sotto i riflettori (alberghi, bar, ristoranti, gioiellerie, boutique, farmacie, saloni di bellezza) sono aumentati in modo a dir poco pazzesco.
È andata ancor meglio per i generi di lusso: picchi del 400 per cento e del 106, stessi i periodi di riferimento. Benissimo anche i bar (40 per cento in più del 2010) e addirittura un rotondo più 104 nel volgere di sole 24 ore.
Controllate inoltre 251 auto di lusso. Quarantadue proprietari, in teoria, sopravvivono a stento alla terza settimana del mese, con redditi sensibilmente inferiori ai 30 mila euro lordi. Solo un pieno di carburante potrebbe ridurli quasi alla fame.
E anche se quel pazzo del capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, parla di «un’operazione politica e mediatica», la nota dell'Agenzia delle Entrate del Veneto precisa che si tratta di risultati utili «per il recupero dell’evasione». Forse anche per il morale di chi, in Italia, le tasse, le paga davvero sino all’ultimo cent.
Alcune riflessioni:
1- pochi fanno lo scontrino, molto pochi le fatture, pochissimi dichiarano tutto;
2- l'evasione fiscale é un dato di fatto oggettivo, non un'opinione dell' Agenzia delle Entrate, della Guardia di Finanza o di Equitalia;
- il nostro Belpaese é stato rovinato da questi furbi in modo definitivo;
- a casa mia (ribadisco) si pagano TUTTE le tasse e i Finanzieri o Equitalia non sono mai venuti a farmi visita perché non ce ne sarebbe motivo;
- quelli che piazzano gli ordigni presso le sedi di Equitalia e quelli che li incitano o li giustificano sono di sicuro gli stessi che evadono o che non vorrebbero pagare le tasse (che é un dovere);
- gli impiegati di Equitalia non premono semplicemente dei bottoni determinando la sorte di qualcuno, come ho letto da qualche parte;
- Pasolini, negli anni di piombo, si schieró con i poliziotti, perché vedeva in loro (e non in quelli che facevano i finti rivoluzionari) i veri oppressi. Io, allo stesso modo, sono convinto che quelli che mettono gli ordigni e soprattutto quelli che li incitano sono i primi evasori fiscali. E, a questo punto, mi schiero con un semplice dipendente che preme i bottoni;
- poi sulla tassazione elevata in Italia e sui metodi di Equitalia si puó discutere (invito tutti a leggere l'articolo dell'Espresso "Equitalia é rivolta"), ma seduti ad un tavolo, non con la violenza!!!
- e infine ricordo che se le tasse solo in Italia sono cosí alte é perché solo qua da noi ci sono cosí tanti evasori, e cosí poco puniti grazie anche a Berlusconi (leggetevi questo articolo di Marco Travaglio per capire):
Evasione, l'ultima truffa di B.
Ha fatto credere agli italiani che nella finanziaria appena varata sono previste le manette per chi bara sulle imposte per oltre 30 mila euro. Una balla colossale: chi presenta una 'dichiarazione infedele' per una cifra inferiore a 103 mila euro, anche accumulando fondi neri, non rischia nessun tipo di procedimento penale. Eppure ci sono cascati tutti.
(22 settembre 2011)
Prosegue sempre più accanita la guerra del governo Berlusconi all'evasione fiscale.
Prima la campagna di spot televisivi che punta a convincere gli evasori a pagare le tasse mettendoli in imbarazzo con il terribile epiteto di "parassiti" (e perché non "birichini"?). Poi, come se non bastasse, ecco la norma infilata all'ultimo momento nella dodicesima manovra finanziaria, che - assicura il governo - assicurerà le"manette agli evasori". Evviva, anche noi come gli Stati Uniti, dove le pene arrivano a 15 anni, si processano ogni anno 3-4 mila evasori (su 250 milioni di abitanti) e le carceri pullulano di colletti bianchi. La grande stampa ci casca con tutti e due i piedi. Titoloni a effetto: tremate, evasori, è arrivato Tremonti il castigamatti. Fortuna che non ci crede nemmeno un evasore, altrimenti avremmo assembramenti a Equitalia per pagare o alle frontiere per scappare. Domenica scorsa il "Corriere della sera" annuncia a tutta pagina "Evasione, il reato scatta dai 30 mila euro", seguito a ruota da "La Stampa": "Stretta antievasione. Oltre 30 mila euro diventa reato". Già. Purtroppo, come sempre in questa materia, il trucco c'è ma non si vede. Tutto comincia nel 2000 (governo D'Alema), quando un'apposita commissione nominata dal precedente governo Prodi e presieduta dal magistrato Bruno Tinti presenta la nuova legge penale tributaria. Lo scopo, manco a dirlo, è "manette agli evasori". E la versione originaria della riforma le manette le prevede davvero. Ma niente paura: il Parlamento, con una raffica di 900 emendamenti trasversali - maggioranza di centrosinistra e minoranza di centrodestra - s'incarica subito di trasformare le manette in carezze. Con due escamotage:
1) Dal reato di frode fiscale vengono sfilate le "violazioni degli obblighi contabili". Cioè le pratiche più diffuse di evasione: le operazioni di sottofatturazione o di omessa fatturazione, tipiche di commercianti, artigiani, medici, avvocati e altri professionisti e lavoratori autonomi che si fanno pagare in nero, senza fattura o scontrino o ricevuta fiscale. In questi casi il reato non è più di "dichiarazione fraudolenta" (punita fino a 6 anni di carcere, con custodia cautelare, intercettazioni e prescrizione fino a 15 anni, poi ridotti a 10 nel 2005 dalla ex Cirielli), ma solo di "dichiarazione infedele" (punita da 6 mesi a 3 anni, senza intercettazioni né custodia cautelare, con prescrizione dopo 7 anni e mezzo: impunità assicurata, visto che l'accertamento non arriva mai prima di tre anni dalla dichiarazione);
2) L'evasione non è più reato "al di sotto di una determinata entità di evasione". La modica quantità, come per le droghe, ovviamente per uso personale. Le soglie sono altissime: per la dichiarazione infedele 103.291 euro, per la frode e l'omessa dichiarazione 77.468. Chi evade un po' meno non finisce in tribunale nemmeno se lo scoprono. Licenza di evadere su un nero, rispettivamente, di circa 150 e 200 mila euro l'anno. Così rimane concretamente punibile, prima che scatti la prescrizione, solo la "dichiarazione fraudolenta": quella fondata su fatture false e altri "artifizi" di bilancio, che però sono molto più rari e difficili da scoprire e da provare.
Fin qui la mirabile opera del centrosinistra. Poi arriva il centrodestra e lascia tutto com'era, con l'aggiunta di condoni e scudi fiscali a prezzi stracciati. Fino all'ultima manovra, che annuncia pomposamente le manette agli evasori dai 30 mila euro in su. Si dirà: sempre meglio delle soglie di impunità del centrosinistra. Già, ma attenti al trucco: la norma vale soltanto per il reato più raro, la "dichiarazione fraudolenta con altri artifizi", prima punibile sopra i 77.468 euro di imposta evasa e in futuro sopra i 30 mila. Non vale invece per la "dichiarazione infedele", diffusissima nel popolo delle partite Iva che per evadere si limitano a non registrare gli incassi nella contabilità. Senza alcun "artifizio". Per loro la soglia rimane quella, altissima e quasi invalicabile, di 103.291 euro. Cioè, se evadono ogni anno 103 mila euro netti, accumulando fondi neri per il doppio, non commettono alcun reato.
Incensurati a vita. Poi però accendono la tv, scoprono che il governo li considera "parassiti" e allora corrono terrorizzati a pagare tutto. Anche gli arretrati.
lunedì 2 gennaio 2012
Facebook e la fine di un epoca
di Eugenio Scalfari
Il linguaggio imposto e voluto dai social network è il segnale che siamo entrati in una nuova era. Dove ormai si parla inglese.
Siamo abituati fin dai tempi della scuola a dividere le varie epoche prendendo come spartiacque tra l'una e l'altra un fatto fortemente simbolico, dal quale derivarono mutamenti radicali sia nella vita politica sia nei modi di pensare, nella diversa dislocazione del potere e della ricchezza, insomma nel cambiamento di tutti gli equilibri preesistenti. Così c'è stato insegnato e così crediamo che sia avvenuto in passato e che avverrà di nuovo in futuro.
La fine dell'Impero romano è segnata convenzionalmente nell'anno 476 che coincide con la discesa in Italia delle tribù gotiche guidate da Odoacre. L'inizio della civiltà moderna è datato 1492 e coincide con la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo che, in realtà, per alcuni mesi non seppe affatto d'averla scoperta ritenendo invece d'aver messo piede in un arcipelago che preannunciava il continente delle Indie e della Cina. La fine della civiltà egiziana si colloca con la conquista da parte di Alessandro il Grande, ma prima ancora con la conquista del Peloponneso da parte dei Dori venuti dal nord, che segnerebbe la fine della grande civiltà cretese-minoica.
Le date, naturalmente, servono soltanto a periodizzare questo ciclico appassire di un'egemonia politica e culturale e la sua trasformazione in un'altra egemonia con caratteristiche profondamente diverse: processi molto complessi che spesso producono anche trasformazioni nel linguaggio; processi che si protraggono per molti anni e talvolta per secoli prima che la nuova egemonia emerga compiutamente, con le sue istituzioni, la sua cultura, il suo linguaggio.
Ma qual è il segnale più visibile e più sconvolgente che avvisa le popolazioni residenti nei luoghi coinvolti da quei processi storici, che un salto si è verificato, una discontinuità si è prodotta, un'epoca è definitivamente tramontata ed un'epoca nuova si è visibilmente insediata sulle sue rovine? Una vittoria militare (e rispettivamente una sconfitta)? Una rivoluzione sociale e politica? Una scoperta scientifica e tecnologica? L'apparire di una nuova religione?
Queste domande sono affascinanti, ti obbligano a rifletterci su, a documentarti meglio, ad indagare con maggiore curiosità. Personalmente la mia curiosità si è concentrata da parecchio tempo per trovare risposte plausibili. Vado per esclusione. Direi che vittorie e sconfitte militari non sono segnali sufficienti per indicare il passaggio di un'epoca. Scoperte geografiche, forse. Il nostro pianeta ormai è stato interamente esplorato, ma quando ancora una parte di esso era noto solo alle popolazioni autoctone, la fine della separazione tra un popolo e un altro, tra un continente ed un altro, furono eventi di grande importanza ma non necessariamente tali da segnare un passaggio di epoca. La scoperta dell'Australia per esempio, quella dei grandi arcipelaghi del Pacifico, quella dei Poli nord e sud non cambiarono alcun equilibrio nel mondo.
Certo avrebbero grandi effetti scoperte astronomiche capaci di rivelarci l'esistenza della vita in altri pianeti e in altre costellazioni, ma gli atterraggi sulla luna non hanno comportato alcuna modificazione nella nostra vita.
Considerando queste ed altre analoghe circostanze, sono arrivato alla conclusione che il segnale più visibile ed anche più significativo di un passaggio d'epoca sia il mutamento del linguaggio. Sappiamo che il linguaggio ha molto a che fare con il pensiero, si stimolano a vicenda perché il pensiero produce linguaggio e il linguaggio articola il pensiero. Sono, sia l'uno che l'altro, due manifestazioni mentali che interagiscono sviluppandosi reciprocamente e determinando processi mentali evolutivi che non avvengono in altre specie sprovviste sia di linguaggio sia di pensieri.
Un altro fattore di enorme mutamento è quello delle modificazioni climatiche, ma si tratta di un fattore di tali dimensioni da sorpassare di gran lunga i mutamenti di un'epoca: rientra piuttosto nella categoria delle grandi catastrofi naturali. Lì non è in questione una civiltà ma addirittura l'avvicendarsi delle specie che abitano il pianeta. Il fattore climatico agisce e registra mutamenti stellari, trasformazioni atmosferiche, mutamenti dei fotoni e di altre componenti chimiche. Insomma è fuori dal nostro discorso sui cicli delle civiltà umane e dei mutamenti culturali che avvicendano un'epoca ad un'altra.
Resta dunque - a mio avviso - il mutamento del linguaggio come segnale più efficace per avvertirci che è in corso il passaggio tra una fase declinante ed una emergente. Così i romani imposero il latino su tutte le genti del bacino mediterraneo, gli spagnoli fecero altrettanto quando dilagarono nei paesi dell'America Latina ed infine così è avvenuto più di recente con l'impero inglese e l'estensione di quella lingua a buona parte del mondo.
Con il tempo e negli ultimi anni l'inglese è diventato la lingua franca dell'intero pianeta soprattutto a causa del suo uso nelle comunicazioni attraverso la rete Internet. In realtà siamo ben oltre il solo affermarsi d'una lingua franca globale. Siamo ad un mutamento dello stare insieme, del colloquiare insieme, del fare all'amore insieme, in modi completamente diversi da quelli di ancora pochi anni fa. Ci si conosce attraverso i Facebook, si sta insieme per molte ore della giornata navigando sulla rete, si vive, si discute, si studia, si lavora attraverso Internet con i blog, con YouTube con continue integrazioni virtuali tra persone, gruppi, professioni, economie, ricchezze. È cambiata la percezione dello spazio e del tempo, i sentimenti, la partecipazione, anche se tutto questo non ha affatto abolito la solitudine. Forse anzi l'ha accresciuta.
Comunque mezzo miliardo di persone è entrato a fare parte del Facebook e la lingua inglese usata per queste comunicazioni è scesa da 70 mila vocaboli a 1.500. In compenso la parola scritta è stata sostituita da una quantità di immagini e di suoni.
Non vi sembra che sia questo il segnale che un'epoca si è chiusa ed un'altra sta cominciando?
Un altro mondo dopo Assange
di Umberto Eco
Cerchiamo di cogliere la portata del fenomeno. Una volta, ai tempi di Orwell, si poteva concepire il Potere come un Grande Fratello che monitorava ogni gesto di ciascuno dei suoi sudditi, anche e specie quando nessuno se ne rendeva conto. Il Grande Fratello televisivo ne è una povera caricatura perché lì tutti possono monitorare quanto accade a un piccolo gruppo di esibizionisti che si radunano proprio per farsi vedere - e quindi la faccenda ha rilievo puramente teatrale o psichiatrico. Ma quella che ai tempi di Orwell era ancora profezia si è ora compiutamente avverata da quando, poiché il Potere può controllare ogni movimento dei soggetti attraverso il loro telefono cellulare, ogni transazione compiuta, hotel visitato, autostrada percorsa attraverso le carte di credito, ogni presenza in un supermarket attraverso le televisioni a circuito chiuso - e via dicendo - il cittadino è diventato vittima totale dell'occhio di un Fratello Grandissimo.
Così almeno pensavamo sino a ieri. Ma ora si dimostra che neppure i penetrali dei segreti del Potere possono sfuggire al monitoraggio di un hacker, e quindi il rapporto di monitoraggio cessa di essere unidirezionale e diventa circolare. Il Potere controlla ogni cittadino ma ogni cittadino, o comunque l' hacker eletto a vendicatore del cittadino, può conoscere tutti i segreti del Potere.
E se pure la gran massa dei cittadini non fosse in grado di esaminare e valutare la massa di materiale che lo hacker cattura e diffonde, ecco delinearsi un nuovo ruolo della stampa (e già lo sta impersonando in questi giorni) che, anziché registrare le notizie rilevanti - e quali fossero le notizie veramente rilevanti lo decidevano i governi, dichiarando una guerra, svalutando una moneta, firmando un'alleanza - ora decide autonomamente quali notizie debbano diventare rilevanti e quali possano essere taciute, addirittura patteggiando (come è accaduto) con il potere politico quali "segreti" svelati rivelare e quali tacere.
(A parte il fatto che - visto che tutti i rapporti segreti che alimentano odi e amicizie di un governo provengono da articoli pubblicati o da confidenze di giornalisti a un addetto d'ambasciata - la stampa sta assumendo anche un'altra funzione: una volta la stampa spiava il mondo delle ambasciate straniere per conoscerne le trame occulte, ora sono le ambasciate che spiano la stampa per conoscerne le manifestazioni palesi. Ma torniamo a bomba).
Come reagire al trionfo incontrollabile della Trasparenza Totale?
So benissimo che per il momento la mia previsione è fantascientifica e di conseguenza romanzesca, ma sono obbligato a immaginare agenti governativi che in forma riservatissima si spostano su diligenze o calessi per percorsi incontrollabili, lungo le strade di campagna delle aree più depresse, non toccate neppure dal turismo (perché il turista ora fotografa col cellulare tutto ciò che si muove davanti a lui), recando solo messaggi mandati a memoria e al massimo nascondendo le poche ed essenziali informazioni scritte nel tacco di una scarpa.
Bello immaginare inviati dell'ambasciata Livonia incontrare il messo del Paese dei Campanelli all'angolo di una strada solitaria, a mezzanotte, sussurrandosi una parola di riconoscimento nello sfiorarsi furtivi. O talora, nel corso di un ballo mascherato alla corte di Ruritania, un pallido Pierrot, ritraendosi là dove i candelieri lasciano una zona d'ombra, si toglierà la maschera mostrando il volto di Obama a quella Sulamita che, scostando rapidamente il velo, si paleserà come Angela Merkel. E là tra un valzer e una polka, avverrà l'incontro, finalmente ignoto anche ad Assange, che deciderà delle sorti dell'euro, o del dollaro, o di entrambi.
Va bene, siamo seri, non avverrà così, ma in qualche modo dovrà accadere qualcosa di molto simile. In ogni caso le informazioni, la registrazione del colloquio segreto, andranno poi conservate in copia unica e manoscritta in cassetti chiusi a chiave. Riflettiamo: in fondo il tentativo di spionaggio al Watergate (dove si trattava di scassinare un armadio o un raccoglitore) ha avuto meno successo di WikiLeaks. E consiglio alla signora Clinton questo annuncio che trovo su Internet: "La Matex Security esiste dal 1982 in difesa delle vostre proprietà. Con costruzioni su misura di Mobili per la casa con Secreté ove nascondere i vostri beni e documenti preziosi, dove qualsiasi malintenzionato non li troverà mai anche se perquisisce tutta la vostra casa o uffici e natanti di qualsiasi tipo e modello. Questi lavori sono e vengono fatti nel massimo della privacy e operati su misura e direttiva del cliente, esclusivamente costruiti da nostro falegname e personale di nostra massima fiducia".
D'altra parte avevo tempo fa scritto che la tecnologia procede ormai a passo di gambero e cioè a ritroso. Un secolo dopo che le comunicazioni erano state rivoluzionate dal telegrafo senza fili, Internet ha ristabilito un telegrafo su fili (telefonici). Le videocassette (analogiche) avevano permesso agli studiosi di cinema di esplorare un film passo per passo, percorrendolo avanti e indietro e scoprendone tutti i segreti del montaggio, mentre ora i cd (digitali) permettono solo di saltare per capitoli, e cioè solo per macroporzioni. Ormai con l'alta velocità si va in treno da Milano a Roma in tre ore mentre con l'aereo, tra vari spostamenti, ne occorrono almeno tre e mezza.
Non è quindi straordinario che anche la politica e la tecnica delle comunicazioni governative tornino ai corrieri a cavallo, a incontri tra le nebbie di un bagno turco, a messaggi recapitati in alcova da una qualche contessa Castiglione. Si apriranno pertanto buone prospettive di lavoro per le veline di domani e per chi abbia appreso a bene impiegarle a favore della cosa pubblica.
Il “bestiario” 2011 dell’evasione fiscale
Nullatenenti in Porsche e commercianti in jet
Il “bestiario” 2011 dell’evasione fiscale
da Il Fatto Quotidiano
Dall'universitario esentato dalla retta, ma sempre a bordo di un'auto di lusso, allo chef milionario con ristorante senza licenza.
Dallo scultore del toro di Wall Street al campione di ciclismo alla pornostar. Fino ai soliti noti.
Dove vada la finanza globale, a quanto pare, nessuno lo sa. Dove corra il suo simbolo, invece, è finalmente chiaro: fugge dal Fisco italiano a gambe levate. Il celebre toro di bronzo di Wall Street da 3,2 tonnellate è stato scolpito da un siciliano di Vittoria, Arturo Di Modica, che ha un contenzioso col fisco per 5 milioni di redditi mai dichiarati, a dispetto di una residenza (ufficialmente) negli States. E’ uno dei casi clamorosi di evasione balzati agli onori delle cronache nel 2011, l’anno in cui l’Italia ha smesso di sorridere sui furbetti del fisco e ha iniziato a capire che gli evasori d’Italia – piccoli e grandi che siano – non sono più un male endemico, ma un lusso che il Paese non si può più permettere: costano almeno 150 miliardi di euro l’anno, il 18 per cento del Pil. Le norme sulla privacy bancaria del governo Monti (forse) daranno un’ulteriore arma nelle mani della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate per combattere il fenomeno e stanare nuovi campioni dello sport nazionale. Nel frattempo, chi è rimasto fermo a Valentino Rossi & co troverà ottimi spunti per aggiornare il file grazie al 2011, anno straordinario di italiche evasioni. Che non può prescindere da Silvio Berlusconi, il quale da capo del governo invocava il carcere per gli evasori oltre i 3 milioni di euro e da contribuente ha cercato di evitare le accuse di frode fiscale per 16 (milioni). Non stupisce allora che tra i governati, anche quest’anno, si sia registrato un campionario eccellente di evasori seriali, smaccati nell’impunità al limite dell’immaginabile. Tra i seriali organizzati del 2011 hanno tenuto banco per mesi le ‘liste’ di clienti di contabili e commercialisti scoperti quasi per caso dai militari delle Fiamme Gialle. Storie di curatori di beni molto solerti nel dirottare le ricchezze verso paradisi fiscali e filiali svizzere, la ‘lista Pessina‘ e la ‘lista Falciani‘. La prima è relativa ai clienti di un avvocato svizzero che tra i 500 clienti e presunti evasori annovera anche la cantante Marcella Bella cui è stata contestata un’evasione fiscale da 2,5 milioni. La seconda, scoperta a ottobre, ha ben 7mila nominativi e ha portato all’accertamento di redditi non dichiarati per 570 milioni di euro e un’Iva evasa di 2,6. Ma più di tutto sorprende il campionario dei capitani coraggiosi dell’evasione, di quelli che per proprio conto e quasi per caso si sono dimenticati di essere ricchi sfondati. Se da dicembre si risale l’anno e si passano al setaccio le cronache, viene fuori davvero di tutto, uno spaccato sconvolgente del fenomeno con tutte le declinazioni possibili, le categorie professionali, economiche, umane. Roba da farci un dizionario, anzi, un “bestiario” come si usava nel basso Medioevo. Ci sono i campioni come Davide Rebellin, accusato di avere una residenza fittizia nel Principato di Monaco utile a distrarre dal Fisco 2,5 milioni e i campioncini del calcio, pagati in nero a 15mila euro al mese. Ci sono amministratori e politici di qualsiasi livello di governo. E ancora industriali, professionisti, ristoratori di fama internazionale e perfino pornostar. Un’evasione generalizzata e senza senza età. Ci sono gli anziani con l’hobby dell’aereo di lusso che non atterra mai sul 730 e gli studenti universitari che chiedevano rette diminuite per fasce di reddito da fame ma all’ateneo andavano in Porsche.
COSI’ FAN TUTTI: IL BESTIARIO DEGLI EVASORI 2011
L’ultimo caso eccellente del 2011 (forse) è quello del mediatore finanziario di 44 anni radiato dalla Banca d’Italia eppure attivissimo. Per il fisco era nullatenente, ma nella vita girava con Porsche (due a disposizione) e moto sportive e viveva tra una tenuta di lusso con piscina, palestra e spa a Ragusa e un super appartamento nel centro di Milano da 50mila euro l’anno di affitto. Optional, un motoscafo Ferretti 72 da un milione di euro con annesso personale di bordo, tutto ovviamente intestato a società di comodo. E’ stato pizzicato tre giorni prima di Natale dalla Guardia di finanza di Monza con la quale ora ha una pendenza da 2 milioni di euro. Tanto avrebbe eluso e tanto avrebbe portato in Svizzera attraverso complesse operazioni finanziarie alla luce nel del sole, nel senso che simulavano investimenti nel settore delle energie rinnovabili che non sono mai esistite. Nella top ten delle evasioni eclatanti ancora spicca la vicenda della coppia di 65enni di Verona che dichiarava poco più di un pacchetto di sigarette ma nascondeva una fortuna da 200 milioni di euro. Mica soldi sudati, come rivendicano gli imprenditori-evasori, quelli che per lenire la colpa la buttano in politica. Quei soldi sono frutto della vendita di un terreno grande come 200 campi da calcio sul litorale tre Eraclea e Jesolo divenuto improvvisamente edificabile. I frutti dorati della terra sono stati quindi le plusvalenze della vendita, opportunamente occultate al fisco attraverso il meccanismo delle scatole societarie. L’ultima portava il tesoro in caldi paradisi fiscali. Dagli accertamenti, è risultato che l’uomo era evasore totale del 1997 al 2008 mentre nel 2009 e 2010 aveva dichiarato 4 e 5 euro. Un pacchetto di sigarette, appunto. In realtà, dietro alla vicenda c’è un piccolo romanzo di formazione criminale, che vede un ex commerciante di bestiame, Giovanni Montresor, diventare un possidente, tenutario e facoltoso imprenditore tra terreni, centri commerciali e hotel di lusso sul litorale. Sarebbe stato il primo contribuente del Comune di
Bussolengo se non avesse avuto il vizietto di occultare le sue ricchezze al fisco. Del resto, da quanto si è appreso, avrebbe mondato il peccato per altre vie, provvedendo in proprio a restaurare il tetto della chiesa
del Cristo Risorto. Un benefattore, insomma. E come lui devono essere tanti se il Nord-Est detiene il primato nazionale del recupero dell’evasione che la Cgia di Mestre segnala in 232 milioni in dieci anni su una base di 350 evasori fiscali. Insomma non sarà un caso se proprio nel Vicentino, ad Arzignano, si è arrivati a proporre un “monumento all’evasore” davanti al Duomo con tanto di imprenditore incatenato dal Fisco persecutore (ci ha messo una pezza la Questura vietandolo).
STUDENTI E PENSIONATI: L’EVASIONE SENZA ETA’
L’età dell’evasione non ha età. A ottobre un 71enne di Bassano del Grappa che fino al giorno prima risultava povero in canna è risultato felice possessore di un aereo di lusso. Si era pensato a un colpo di testa, una passione senile, ma le indagini hanno accertato che il velivolo era solo uno dei 16 ultraleggeri in dotazione che facevano parte di un giro di contrabbando di aeromobili, tra San Marino e Fidenza, che coinvolgeva 31 persone. Non che i “giovani” siano da meno. Come quello studente dell’Università di Padova così povero da ottenere l’esenzione dalle rette universitarie, ma non abbastanza da rinunciare alla Porsche per andare a lezione. A denunciarlo agli 007 del fisco sono stati proprio i compagni di corso, forse irritati da quell’evasione fatta sulle spalle di chi di soldi per studiare non ne ha davvero. A Treviso un ventenne senza neppure la dichiarazione dei redditi è risultato evasore totale per 6 milioni di euro. Emetteva fatture
false. Poi ci sono insospettabili campioni nazionali, meno famosi dei calciatori ma in qualche modo ambasciatori del made in Italy che nel mondo esportano vizi nostrani e italiche virtù. Sul New York Times si può ancora leggere una recensione a cinque stelle del ristorante “Laguna da Toni” di Torcello, un locale caratteristico della laguna veneta ricavato in un capanno di pescatori e felicemente frequentato da clienti di tutto il mondo. Mentre i giornalisti americani davano giustamente notizia dei manicaretti del titolare 66enne trevigiano, la Dgf di Mestre ne portava altre: il locale impalmato sulle colonne più celebri dell’informazione americana era completamente al nero, compresa la cuoca. Non aveva neppure le licenze. Particolare che avrebbe permesso al ristoratore di mettere da parte mezzo milione di euro senza fare i conti col Fisco. Chiude la girandola la pornostar Jessica Rizzo che insieme al marito Marco Toto e ad altri (l’ex presidente del Pescara calcio e dirigente dell’Under 21, Vincenzo Marinelli, la consigliera provinciale dell’Idv Antonella Allegrino, che si autosospese dal partito, e il consulente tributario pescarese, Luca Del Federico) avrebbe messo in piedi un’evasione per 16 milioni di euro di capitali occultati tramite il sistema dei trust all’estero.
commenti:
- Per una volta che Jessica poteva essere lei a metterlo in quel posto a qualcuno... Invece sono sorpreso per Marcella Bella: chi cavolo le ha comprato tutti quei dischi?
- Resta da chiarire se il fondoschiena della Rizzo sia da considerarsi prevalentemente ad uso commerciale oppure se si tratti in tutto e per tutto di un luogo di culto.
- La seconda sicuramente, tantevvero che è luogo preposto alla messa in... Comunque credo che allo stato attuale sia anche bisognoso di notevoli restauri. A parte questo, siete i soliti comunisti malati d'invidia!
- Non sono i dischi. Queste "glorie" del passato lavorano sistematicamente facendo oltre duecento serate all'anno in contesti medio/piccoli che però fruttano loro ogni volta, in nero, un cachet che spesso supera lo stipendio medio di un impiegato. Mettici poi che se non sono del tutto stupidi investono in attività in cui il nero la fa da padrone (es: ristoranti). Così facendo, nel giro di qualche anno, i milioni arrivano; eccome se arrivano.
- Quando determinate categorie professionistiche continuano a dichiarare per anni, redditi come se fossero degli umili operai e incrociando i dati sul tenore di vita tutto ciò è insostenibile, basterebbe organizzare una leggina semplice,semplice, ovvero mandare in galera chi si comporta da delinquente, poichè evadere il fisco equivale a rubare. State pur certi che le denunce dei redditi cambierebbero fulmineamente, stangarne alcuni per educarne molti, è un vecchio detto cinese e funziona, peccato che non ci sia alcuna volontà di interpretare la "grande stangata".
- Difficile denunciare i ladroni se si è governati da Alì Babà o da uno dei suoi 40... Il problema dell'Italia è che i più gradi criminali sono proprio ai vertici dello stato, per cui, una simile legge violerebbe i loro principi sul rispetto...del conflitto di interessi...
- Tutto vero, possiamo sempre ringraziare il popolo sovrano che ci regala il caimano da quasi vent'anni, quel che risulta grottesco è che parecchi voti li prende da chi paga le tasse fino all'ultimo centesimo. Che dire, ci vorrebbe il Nobel al negativo per masochismo allo stato puro!
- Sai qual è il problema??? Che il giorno che fai una cosa del genere il fatto titolerebbe "RITORNO AL
FASCISMO"... e qualsiasi altra cosa fai... tipo se decidi di tagliare i costi della politica licenziando la marea di impiegati pubblici improduttivi il titolo sarenne "MESSI IN STRADA 10.000 LAVORATORI"... quindi fare ciò che è necessario non è facile...
- Certo, certo perché dopo aver caricato al 200% di IVA tu pensi che l'italiano medio evasore per natura lo dichiara che ha venduto l'Iphone? Chi paga sono solo i cittadini onesti. Spero che l'Italia vada al più presto in Default e tutti i commercianti e liberi professionisti disonesti vadano in miseria. Ricordo che quando L'Italia entro' nell'euro da mille lire il pane passo' a 1 ero. Cosa strana poiché a quel tempo un euro valeva 2000 lire. Farabutti commercianti raddoppiarono i prezzi...adesso in miseria dovete finire voi e le vostra famiglie......
- Da commerciante onesta e fortemente arrabbiata perchè sempre e superficialmente additata come l'origine di tutti i mali, ti chiedo che collocazione hanno tutti quelli che prendono uno stipendio senza competenza alcuna e peggio ancora alcuna responsabilità dei danni che arrecano a questa società (magari svolgono anche un doppio lavoro in nero)??? Saranno EVASORI o LADRI??
- Signora commerciante: la sua auto personale é intestata a lei o alla ditta? E quando va a fare benzina si fa fare la fattura in modo da scaricare il costo come spesa per il business? E
secondo lei questa non 'e evasione?
- Ai tempi del pc se si vuole stanare gli evasori basta incrociare qualche dato: macchina posseduta, bollette telefoni/enel, ubicazione negozio/ufficio/studio. Hai una Porche, un Q7, spendi centinaia di euro di telefono, hai un negozio/studio in via Montenapoleone o via Veneto e dichiari 20 mila euro all'anno? O mi spieghi come fai o ti confisco tutto. Contestualmente una legge che mandi in galera gli evasori, non quella fasulla fatta dal governo Berlusconi che punisce solo per "false dichiarazioni". E chi la dichiarazione non la fa propria non vine punito! Il problema è la mancanza di volontà politica!!!
- non è vero che chi non fa la dichiarazione non viene punito perchè l'omessa dichiarazione come la fraudolenta sono sanzionate. forse volevi dire che chi non dichiara è difficilmente scovabile, ma questo è un problema oltre che di coscienza dell'evasore soprattutto della nostra amministrazione finanziaria che non riesce a trovarlo. resta poi il problema di chi firma l'accertamento dei redditi a totò riina.
Il “bestiario” 2011 dell’evasione fiscale
da Il Fatto Quotidiano
Dall'universitario esentato dalla retta, ma sempre a bordo di un'auto di lusso, allo chef milionario con ristorante senza licenza.
Dallo scultore del toro di Wall Street al campione di ciclismo alla pornostar. Fino ai soliti noti.
Dove vada la finanza globale, a quanto pare, nessuno lo sa. Dove corra il suo simbolo, invece, è finalmente chiaro: fugge dal Fisco italiano a gambe levate. Il celebre toro di bronzo di Wall Street da 3,2 tonnellate è stato scolpito da un siciliano di Vittoria, Arturo Di Modica, che ha un contenzioso col fisco per 5 milioni di redditi mai dichiarati, a dispetto di una residenza (ufficialmente) negli States. E’ uno dei casi clamorosi di evasione balzati agli onori delle cronache nel 2011, l’anno in cui l’Italia ha smesso di sorridere sui furbetti del fisco e ha iniziato a capire che gli evasori d’Italia – piccoli e grandi che siano – non sono più un male endemico, ma un lusso che il Paese non si può più permettere: costano almeno 150 miliardi di euro l’anno, il 18 per cento del Pil. Le norme sulla privacy bancaria del governo Monti (forse) daranno un’ulteriore arma nelle mani della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate per combattere il fenomeno e stanare nuovi campioni dello sport nazionale. Nel frattempo, chi è rimasto fermo a Valentino Rossi & co troverà ottimi spunti per aggiornare il file grazie al 2011, anno straordinario di italiche evasioni. Che non può prescindere da Silvio Berlusconi, il quale da capo del governo invocava il carcere per gli evasori oltre i 3 milioni di euro e da contribuente ha cercato di evitare le accuse di frode fiscale per 16 (milioni). Non stupisce allora che tra i governati, anche quest’anno, si sia registrato un campionario eccellente di evasori seriali, smaccati nell’impunità al limite dell’immaginabile. Tra i seriali organizzati del 2011 hanno tenuto banco per mesi le ‘liste’ di clienti di contabili e commercialisti scoperti quasi per caso dai militari delle Fiamme Gialle. Storie di curatori di beni molto solerti nel dirottare le ricchezze verso paradisi fiscali e filiali svizzere, la ‘lista Pessina‘ e la ‘lista Falciani‘. La prima è relativa ai clienti di un avvocato svizzero che tra i 500 clienti e presunti evasori annovera anche la cantante Marcella Bella cui è stata contestata un’evasione fiscale da 2,5 milioni. La seconda, scoperta a ottobre, ha ben 7mila nominativi e ha portato all’accertamento di redditi non dichiarati per 570 milioni di euro e un’Iva evasa di 2,6. Ma più di tutto sorprende il campionario dei capitani coraggiosi dell’evasione, di quelli che per proprio conto e quasi per caso si sono dimenticati di essere ricchi sfondati. Se da dicembre si risale l’anno e si passano al setaccio le cronache, viene fuori davvero di tutto, uno spaccato sconvolgente del fenomeno con tutte le declinazioni possibili, le categorie professionali, economiche, umane. Roba da farci un dizionario, anzi, un “bestiario” come si usava nel basso Medioevo. Ci sono i campioni come Davide Rebellin, accusato di avere una residenza fittizia nel Principato di Monaco utile a distrarre dal Fisco 2,5 milioni e i campioncini del calcio, pagati in nero a 15mila euro al mese. Ci sono amministratori e politici di qualsiasi livello di governo. E ancora industriali, professionisti, ristoratori di fama internazionale e perfino pornostar. Un’evasione generalizzata e senza senza età. Ci sono gli anziani con l’hobby dell’aereo di lusso che non atterra mai sul 730 e gli studenti universitari che chiedevano rette diminuite per fasce di reddito da fame ma all’ateneo andavano in Porsche.
COSI’ FAN TUTTI: IL BESTIARIO DEGLI EVASORI 2011
L’ultimo caso eccellente del 2011 (forse) è quello del mediatore finanziario di 44 anni radiato dalla Banca d’Italia eppure attivissimo. Per il fisco era nullatenente, ma nella vita girava con Porsche (due a disposizione) e moto sportive e viveva tra una tenuta di lusso con piscina, palestra e spa a Ragusa e un super appartamento nel centro di Milano da 50mila euro l’anno di affitto. Optional, un motoscafo Ferretti 72 da un milione di euro con annesso personale di bordo, tutto ovviamente intestato a società di comodo. E’ stato pizzicato tre giorni prima di Natale dalla Guardia di finanza di Monza con la quale ora ha una pendenza da 2 milioni di euro. Tanto avrebbe eluso e tanto avrebbe portato in Svizzera attraverso complesse operazioni finanziarie alla luce nel del sole, nel senso che simulavano investimenti nel settore delle energie rinnovabili che non sono mai esistite. Nella top ten delle evasioni eclatanti ancora spicca la vicenda della coppia di 65enni di Verona che dichiarava poco più di un pacchetto di sigarette ma nascondeva una fortuna da 200 milioni di euro. Mica soldi sudati, come rivendicano gli imprenditori-evasori, quelli che per lenire la colpa la buttano in politica. Quei soldi sono frutto della vendita di un terreno grande come 200 campi da calcio sul litorale tre Eraclea e Jesolo divenuto improvvisamente edificabile. I frutti dorati della terra sono stati quindi le plusvalenze della vendita, opportunamente occultate al fisco attraverso il meccanismo delle scatole societarie. L’ultima portava il tesoro in caldi paradisi fiscali. Dagli accertamenti, è risultato che l’uomo era evasore totale del 1997 al 2008 mentre nel 2009 e 2010 aveva dichiarato 4 e 5 euro. Un pacchetto di sigarette, appunto. In realtà, dietro alla vicenda c’è un piccolo romanzo di formazione criminale, che vede un ex commerciante di bestiame, Giovanni Montresor, diventare un possidente, tenutario e facoltoso imprenditore tra terreni, centri commerciali e hotel di lusso sul litorale. Sarebbe stato il primo contribuente del Comune di
Bussolengo se non avesse avuto il vizietto di occultare le sue ricchezze al fisco. Del resto, da quanto si è appreso, avrebbe mondato il peccato per altre vie, provvedendo in proprio a restaurare il tetto della chiesa
del Cristo Risorto. Un benefattore, insomma. E come lui devono essere tanti se il Nord-Est detiene il primato nazionale del recupero dell’evasione che la Cgia di Mestre segnala in 232 milioni in dieci anni su una base di 350 evasori fiscali. Insomma non sarà un caso se proprio nel Vicentino, ad Arzignano, si è arrivati a proporre un “monumento all’evasore” davanti al Duomo con tanto di imprenditore incatenato dal Fisco persecutore (ci ha messo una pezza la Questura vietandolo).
STUDENTI E PENSIONATI: L’EVASIONE SENZA ETA’
L’età dell’evasione non ha età. A ottobre un 71enne di Bassano del Grappa che fino al giorno prima risultava povero in canna è risultato felice possessore di un aereo di lusso. Si era pensato a un colpo di testa, una passione senile, ma le indagini hanno accertato che il velivolo era solo uno dei 16 ultraleggeri in dotazione che facevano parte di un giro di contrabbando di aeromobili, tra San Marino e Fidenza, che coinvolgeva 31 persone. Non che i “giovani” siano da meno. Come quello studente dell’Università di Padova così povero da ottenere l’esenzione dalle rette universitarie, ma non abbastanza da rinunciare alla Porsche per andare a lezione. A denunciarlo agli 007 del fisco sono stati proprio i compagni di corso, forse irritati da quell’evasione fatta sulle spalle di chi di soldi per studiare non ne ha davvero. A Treviso un ventenne senza neppure la dichiarazione dei redditi è risultato evasore totale per 6 milioni di euro. Emetteva fatture
false. Poi ci sono insospettabili campioni nazionali, meno famosi dei calciatori ma in qualche modo ambasciatori del made in Italy che nel mondo esportano vizi nostrani e italiche virtù. Sul New York Times si può ancora leggere una recensione a cinque stelle del ristorante “Laguna da Toni” di Torcello, un locale caratteristico della laguna veneta ricavato in un capanno di pescatori e felicemente frequentato da clienti di tutto il mondo. Mentre i giornalisti americani davano giustamente notizia dei manicaretti del titolare 66enne trevigiano, la Dgf di Mestre ne portava altre: il locale impalmato sulle colonne più celebri dell’informazione americana era completamente al nero, compresa la cuoca. Non aveva neppure le licenze. Particolare che avrebbe permesso al ristoratore di mettere da parte mezzo milione di euro senza fare i conti col Fisco. Chiude la girandola la pornostar Jessica Rizzo che insieme al marito Marco Toto e ad altri (l’ex presidente del Pescara calcio e dirigente dell’Under 21, Vincenzo Marinelli, la consigliera provinciale dell’Idv Antonella Allegrino, che si autosospese dal partito, e il consulente tributario pescarese, Luca Del Federico) avrebbe messo in piedi un’evasione per 16 milioni di euro di capitali occultati tramite il sistema dei trust all’estero.
commenti:
- Per una volta che Jessica poteva essere lei a metterlo in quel posto a qualcuno... Invece sono sorpreso per Marcella Bella: chi cavolo le ha comprato tutti quei dischi?
- Resta da chiarire se il fondoschiena della Rizzo sia da considerarsi prevalentemente ad uso commerciale oppure se si tratti in tutto e per tutto di un luogo di culto.
- La seconda sicuramente, tantevvero che è luogo preposto alla messa in... Comunque credo che allo stato attuale sia anche bisognoso di notevoli restauri. A parte questo, siete i soliti comunisti malati d'invidia!
- Non sono i dischi. Queste "glorie" del passato lavorano sistematicamente facendo oltre duecento serate all'anno in contesti medio/piccoli che però fruttano loro ogni volta, in nero, un cachet che spesso supera lo stipendio medio di un impiegato. Mettici poi che se non sono del tutto stupidi investono in attività in cui il nero la fa da padrone (es: ristoranti). Così facendo, nel giro di qualche anno, i milioni arrivano; eccome se arrivano.
- Quando determinate categorie professionistiche continuano a dichiarare per anni, redditi come se fossero degli umili operai e incrociando i dati sul tenore di vita tutto ciò è insostenibile, basterebbe organizzare una leggina semplice,semplice, ovvero mandare in galera chi si comporta da delinquente, poichè evadere il fisco equivale a rubare. State pur certi che le denunce dei redditi cambierebbero fulmineamente, stangarne alcuni per educarne molti, è un vecchio detto cinese e funziona, peccato che non ci sia alcuna volontà di interpretare la "grande stangata".
- Difficile denunciare i ladroni se si è governati da Alì Babà o da uno dei suoi 40... Il problema dell'Italia è che i più gradi criminali sono proprio ai vertici dello stato, per cui, una simile legge violerebbe i loro principi sul rispetto...del conflitto di interessi...
- Tutto vero, possiamo sempre ringraziare il popolo sovrano che ci regala il caimano da quasi vent'anni, quel che risulta grottesco è che parecchi voti li prende da chi paga le tasse fino all'ultimo centesimo. Che dire, ci vorrebbe il Nobel al negativo per masochismo allo stato puro!
- Sai qual è il problema??? Che il giorno che fai una cosa del genere il fatto titolerebbe "RITORNO AL
FASCISMO"... e qualsiasi altra cosa fai... tipo se decidi di tagliare i costi della politica licenziando la marea di impiegati pubblici improduttivi il titolo sarenne "MESSI IN STRADA 10.000 LAVORATORI"... quindi fare ciò che è necessario non è facile...
- Certo, certo perché dopo aver caricato al 200% di IVA tu pensi che l'italiano medio evasore per natura lo dichiara che ha venduto l'Iphone? Chi paga sono solo i cittadini onesti. Spero che l'Italia vada al più presto in Default e tutti i commercianti e liberi professionisti disonesti vadano in miseria. Ricordo che quando L'Italia entro' nell'euro da mille lire il pane passo' a 1 ero. Cosa strana poiché a quel tempo un euro valeva 2000 lire. Farabutti commercianti raddoppiarono i prezzi...adesso in miseria dovete finire voi e le vostra famiglie......
- Da commerciante onesta e fortemente arrabbiata perchè sempre e superficialmente additata come l'origine di tutti i mali, ti chiedo che collocazione hanno tutti quelli che prendono uno stipendio senza competenza alcuna e peggio ancora alcuna responsabilità dei danni che arrecano a questa società (magari svolgono anche un doppio lavoro in nero)??? Saranno EVASORI o LADRI??
- Signora commerciante: la sua auto personale é intestata a lei o alla ditta? E quando va a fare benzina si fa fare la fattura in modo da scaricare il costo come spesa per il business? E
secondo lei questa non 'e evasione?
- Ai tempi del pc se si vuole stanare gli evasori basta incrociare qualche dato: macchina posseduta, bollette telefoni/enel, ubicazione negozio/ufficio/studio. Hai una Porche, un Q7, spendi centinaia di euro di telefono, hai un negozio/studio in via Montenapoleone o via Veneto e dichiari 20 mila euro all'anno? O mi spieghi come fai o ti confisco tutto. Contestualmente una legge che mandi in galera gli evasori, non quella fasulla fatta dal governo Berlusconi che punisce solo per "false dichiarazioni". E chi la dichiarazione non la fa propria non vine punito! Il problema è la mancanza di volontà politica!!!
- non è vero che chi non fa la dichiarazione non viene punito perchè l'omessa dichiarazione come la fraudolenta sono sanzionate. forse volevi dire che chi non dichiara è difficilmente scovabile, ma questo è un problema oltre che di coscienza dell'evasore soprattutto della nostra amministrazione finanziaria che non riesce a trovarlo. resta poi il problema di chi firma l'accertamento dei redditi a totò riina.
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